Dell’ospedale cardiochirurgico di Emergency a Khartoum

Enrico Materia

Laziosanità - Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio

1. Khartoum, Sudan
Se non soffia l’aboub, il vento che scatena le tempeste di sabbia nel deserto, Khartoum è una città calda e tranquilla. Il torpore della capitale non risveglia le immagini della guerra civile che ha imperversato negli ultimi decenni tra il nord di cultura nilotica, araba e islamica, e il sud di tradizione africana, animistica e cristiana, ricco di risorse naturali da sempre espoliate. Almeno se non giri negli slum dove un milione di rifugiati per i disastri naturali o prodotti dall’uomo vive mescolato alla popolazione stanziale più povera.
La guerra tuttora incombe sul Darfur e strascica la sua coda nelle zone di confine tra nord e sud. L’accordo di pace, siglato nel 2005 e sorvegliato dalle Nazioni unite, dovrebbe portare alle elezioni nel 2009 e al referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan nel 2011.
Il Sudan è un paese della fascia saheliana, il più esteso del continente africano, abitato da circa 35 milioni di persone: un paese fragile, con povertà endemica, a basso indice di sviluppo umano, non ancora entrato nella fase di transizione demografica ed epidemiologica. Il profilo epidemiologico è ancora dominato dalle comuni malattie infettive, che generano, specie durante la stagione delle piogge, epidemie ricorrenti di malaria, colera e malattie diarroiche, meningite, morbillo e febbri emorragiche.
Le malattie infettive, l’incidenza elevata di malnutrizione e la scarsa accessibilità ai servizi sanitari contribuiscono a determinare livelli molto elevati di mortalità evitabile, in particolare per donne e bambini, soprattutto nel Sud Sudan: le principali cause di mortalità e di anni di vita persi sono rappresentate da malaria, diarrea, morbillo, Aids, tubercolosi, e dalle condizioni perinatali (World Health Organization, 2002). Gli obiettivi di sviluppo del millennio di competenza sanitaria appaiono ben lontani dal poter essere raggiunti. La mortalità 0-5 anni è pari a 117 per 1000 nell’intero paese, e a 134 nel Sud Sudan; la mortalità materna a 1107 (per 100.000 nati vivi) nel Sudan e a 2054 nel Sud Sudan: il valore più alto dell’intero pianeta (Government of National Unity e Government of Southern Sudan, 2006). Con un tale rapporto di mortalità materna (pari al 2%), e un tasso di fertilità superiore al 5%, il rischio che ogni donna ha nel Sud Sudan di morire a seguito delle gravidanze nel corso della vita è maggiore del 10%. Per ogni morte materna si stima inoltre che almeno 30 donne sviluppino gravi complicanze della gravidanza e del parto, soprattutto le invalidanti fistole vescico-vaginali (United Nations et al, 2007).
Solo il 20-25% della popolazione ha accesso ai servizi sanitari di base (Federal Ministry of Health, 2007 e Ministry of Health Government of Southern Sudan, 2008); nel Sud Sudan il loro utilizzo è pari a solo 0,2 contatti per persona per anno (United Nations et al, 2007).
La situazione fatiscente di molti centri sanitari, la loro difficile accessibilità durante la stagione delle piogge, la carenza di personale addestrato (nel Sud si fa ricorso a personale espatriato dal Kenya e dall’Uganda anche attraverso programmi di cooperazione ‘Sud-Sud’) contribuiscono a porre il sistema sanitario sudanese su uno stretto crinale tra emergenza continua e ricostruzione/sviluppo.
Nel Sud Sudan, la gestione dei servizi sanitari di base è ancora affidata quasi per intero alle Ong nell’ambito di contratti di servizio finanziati dalla comunità internazionale. I programmi verticali si occupano delle loro attività, ignorando per lo più le istanze di rafforzamento del sistema sanitario e la necessaria integrazione delle varie componenti dell’assistenza sanitaria di base (Primary health care, PHC).
Nel Sudan il sistema sanitario è inoltre giudicato complessivamente squilibrato verso gli ospedali e le cure di terzo livello (World Bank, 2003). Nel corso dell’ultimo decennio, il numero degli ospedali è aumentato da 253 a 351, e il tasso di posti letto ha raggiunto lo 0,72 ogni 1000 abitanti (Federal Ministry of Health, 2007) (contro 0,3 in Etiopia e 0,9 in Uganda). Questa progressione appare associata con l’espansione del settore privato nella sanità, incoraggiato dalle politiche governative e dalle riforme macroeconomiche promosse dalla Banca mondiale nel corso degli anni ’90.
2. L’ospedale cardiochirurgico di Emergency
Proprio nelle vicinanze di Khartoum e delle rive del Nilo Blu, Emergency ha costruito un nuovo ospedale, ‘The Salam Centre for Cardiac Surgery’, specializzato in cardiochirurgia, attivo dall’aprile 2007, che fornisce assistenza gratuita alla popolazione, secondo principi dichiarati di equità, qualità e responsabilità sociale (www.salamcentre.emergency.it).
L’ospedale è dotato di tre sale operatorie (di cui solo due attualmente utilizzate), un reparto di terapia intensiva e una sala di emodinamica, oltre ai servizi di diagnostica per immagini, ecocardiografia, laboratorio e banca del sangue. Dispone complessivamente di 63 posti letto (di cui 15 nel reparto di terapia intensiva e 16 in subintensiva).
Se non fosse per i disegni tradizionali sulle lunghe tende di vimini che proteggono dal sole gli esterni della struttura bassa e sobriamente elegante, sembrerebbe di stare altrove. Certamente inusuali per un paese povero come il Sudan sono le tecnologie usate per l’impiantistica (pannelli solari per l’accumulazione di energia termica, trattamento dell’aria immessa negli ambienti interni attraverso un sistema di abbattimento delle polveri e della sabbia, pareti perimetrali di circa 60 cm a elevata efficienza termica, atte a ridurre il fenomeno di irraggiamento e mantenere un microclima interno ideale); la massima attenzione alle finiture e ai particolari architettonici; gli standard di qualità che caratterizzano le attrezzature e l’organizzazione dei reparti (in particolare quello di terapia intensiva) e delle sale operatorie ove si opera a cuore aperto con l’ausilio delle macchine cuore-polmoni; l’attenzione rigorosa all’igiene per la prevenzione delle infezioni ospedaliere.
L’ospedale è stato concepito nella prospettiva di servire anche le popolazioni dei nove paesi confinanti (Egitto, Libia, Chad, Repubblica Centro-Africana, Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Kenya, Etiopia, Eritrea). Con alcuni di questi sono già stati siglati, o stanno per esserlo, accordi tecnici di collaborazione. Emergency provvede al trasporto gratuito dei pazienti stranieri, anche se il progetto di utilizzare un aereo per prelevare in loco i pazienti da ricoverare nell’ospedale Salam non è poi entrato a regime. Su 904 pazienti ricoverati nel periodo aprile 2007-giugno 2008, 842 (93%) erano comunque sudanesi (www.salamcentre.emergency.it).
I pazienti sono reclutati prevalentemente presso il centro pediatrico che Emergency gestisce a Mayo, nei sobborghi di Khartoum. Altri centri pediatrici per lo screening delle cardiopatie e il monitoraggio postoperatorio dovrebbero essere realizzati sia in Sudan che nei paesi confinanti (www.salamcentre.emergency.it).
Priorità viena data a pazienti giovani-adulti affetti da valvulopatie (usualmente di origine reumatica), a cui sono impiantate protesi valvolari meccaniche (che richiedono trattamento anticoagulante permanente) o biologiche (che richiedono di regola sostituzione dopo 8-15 anni). La casistica con cardiopatie congenite viene concentrata nei periodi in cui l’ospedale dispone di un cardiochirurgo pediatrico. Gli interventi di rivascolarizzazione coronarica non sono considerati prioritari a causa dell’età usualmente più avanzata dei pazienti. Non vengono ammessi pazienti di età superiore a 65 anni. Non vengono eseguiti trapianti di cuore.
Nei primi 15 mesi di attività, su 633 pazienti sottoposti a intervento chirurgico, il 78% era affetto da valvulopatia, il 14% da cardiopatia congenita e l’8% da cardiopatia ischemica (www.salamcentre. emergency.it).
Il personale medico specializzato è composto interamente da espatriati. Infermieri e tecnici locali vengono formati in ospedale on the job. Il basso tasso di occupazione dei posti letto (approssimativamente inferiore al 50% al momento della visita) viene attribuito alla difficoltà di disporre di personale addestrato in misura adeguata.
I coordinatori di Emergency hanno riferito che i costi annuali di gestione dell’ospedale ammontano a circa 10 milioni di euro e che dal 2008 il governo sudanese finanzierà il 50% di questo importo.
3. Dilemmi etici: sostenibilità, costo-opportunità, equità
Nell’autunno del 2006, quando Emergency annunciò l’apertura dell’ospedale di Khartoum, agli interrogativi posti da Angelo Stefanini (2007) sulle implicazioni di politica sanitaria del progetto in termini di coerenza, efficacia ed equità, seguì una replica tranchante di Gino Strada (2007) e un vivace dibattito tra blogger.
Di fatto, i dilemmi che l’iniziativa ha sollevato restano ineludibili e meritano di essere approfonditi sulla base delle informazioni oggi disponibili. Più in generale, questi temi possono essere ricondotti al dibattito in corso sull’impatto degli aiuti allo sviluppo (World Health Organization, 2007), sulle critiche crescenti ai programmi verticali (Italian Global Health Watch, 2008), e alla necessità di rafforzare i sistemi sanitari dei paesi fragili (High-level Forum on the Health MDGs, 2005).
Non si vuole qui discutere sull’efficienza operativa dell’ospedale. Benché questa non appaia ancora soddisfacente in termini di utilizzo dei posti letto e delle dotazioni esistenti, bisogna considerare che l’ospedale è aperto solo da pochi mesi e che i programmi di formazione del personale potranno dare i loro frutti nel medio periodo.
Né è possibile esprimere valutazioni conclusive sull’efficacia dei trattamenti, anche se la mortalità postoperatoria a 30 giorni, pari al 2,2% (www.salamcentre.emergency.it), appare confortante. A questo proposito merita però interrogarsi sulle difficoltà che incontreranno i pazienti che dovranno essere sottoposti a terapia anticoagulante con monitoraggio dei parametri coagulativi e/o ad un futuro intervento di sostituzione valvolare in caso di impianto di protesi biologica. Quanto sarà fattibile assicurare la continuità assistenziale ai pazienti operati, soprattutto se provenienti da fuori Khartoum o da altri paesi?
I dilemmi stringenti in termini di sanità pubblica e politica sanitaria riguardano piuttosto la sostenibilità, il costo-opportunità e l’equità di accesso ai servizi di cardiochirurgia.
Emergency sostiene che parlare di sostenibilità nel contesto africano non abbia molto senso. Nel pianeta in crisi della post-globalizzazione, dove le 50 principali istituzioni finanziarie controllano un terzo della ricchezza globale (Rampini, 2008), e dove la concentrazione delle ricchezze e i modelli di sviluppo economico neoliberisti appaiono tanto insostenibili quanto inarrestabili, rinunciare a salvare vite umane in nome della sostenibilità sarebbe come parlare del sesso degli angeli mentre piovono rane. Si è portati a credere che Emergency non abbia tutti i torti: ma solo se si dimentica che sostenibilità significa poter contare su servizi di tecnologia appropriata rispetto al livello di costi e di tecnologie che uno Stato può permettersi senza dipendere dall’aiuto esterno, e senza perdere fiducia nelle proprie capacità di sviluppo e di autodeterminazione.
Sostenibilità, nel caso in esame, vuol dire reperire 10 milioni di euro l’anno necessari per la gestione corrente dell’ospedale. Il fatto che metà dell’importo verrà finanziato dal Governo sudanese implica che i costi della gestione dell’ospedale saranno accollati alla spesa sanitaria pubblica governativa, che in Sudan ammonta solo all’1,5% del prodotto interno lordo, o a 13 USD pro capite in termini assoluti (dati 2007) (Federal Ministry of Health, 2007). Ciò comporta che il progetto finirà per sottrarre fondi al rafforzamento del sistema sanitario pubblico e ai programmi di PHC, considerati assi portanti dello sviluppo sanitario del paese (Federal Ministry of Health, 2007 e Ministry of Health Government of Southern Sudan, 2008).
Si allocheranno dunque risorse (non aggiuntive, bensì sostitutive – come avviene per molti altri programmi verticali, di cui quello di Emergency rappresenta un’originale declinazione) per interventi che potranno salvare vite ad un costo almeno 100 volte superiore dei programmi di riduzione della mortalità materna o infantile. Se si obietta che ragionare in termini di valutazione economica è riduzionistico, come mai Emergency stabilisce le priorità per l’accesso al trattamento in base a criteri di costo-efficacia (preferenza ai pazienti più giovani affetti da valvulopatie e accesso negato a quelli di età superiore a 65 anni)?
E poi l’equità: un principio guida della PHC, promulgato nella storica conferenza di Alma Ata di cui ricorre quest’anno il trentennale, un’occasione per ribadirne validità e attualità (Gilliam, 2008). Va considerato che la maggioranza della popolazione rurale e pastoralizia del Sudan utilizza scarsamente i servizi sanitari di base ed è quindi probabile che l’accesso ai servizi cardiochirurgici dell’ospedale Salam avvenga e avverrà con maggiore facilità per i gruppi più benestanti della popolazione urbana. Vengono in mente i sistemi coloniali, quando gli ospedali erano ubicati solo nelle grandi città, e agli abitanti nelle zone rurali prive di servizi sanitari non restava che ricorrere alla medicina tradizionale e magica. Chi oggi vive in promiscuità con il bestiame nei campi transumanti (c.d. cattle camps), o nel vasto e remoto bush del Sud Sudan, difficilmente riuscirà a raggiungere le eleganti tende che filtrano la luce dell’interno del centro Salam, anche se portatore di una cardiopatia suscettibile di riparazione chirurgica. Salvo che la rete di centri pediatrici che Emergency intende stabilire non riesca a ridurre le barriere socioeconomiche all’accesso ai servizi. E perché agire solo per le malattie cardiache – che non rappresentano una priorità nella lotta alla riduzione della mortalità evitabile in Sudan – creando una rete di servizi parallela e indipendente rispetto al sistema sanitario pubblico, ignorando la necessità di armonizzazione e di allineamento alle strategie governative affermate nella dichiarazione di Parigi (World Health Organization, 2007) e le opportune sinergie tra sistemi sanitari e programmi verticali (World Health Organization, 2008)? Vi è prova che il rafforzamento dei sistemi sanitari con espansione della copertura degli interventi essenziali a favore della salute materno-infantile è in grado di dimezzare in pochi anni la mortalità dei bambini, come riportato in Tanzania (Horton, 2008).
Se si voleva dimostrare che è possibile fare medicina d’alta specialità anche nelle zone più difficili del mondo, Gino Strada – chapeau – c’è riuscito con l’impegno e la dedizione dei suoi valenti collaboratori. Resta il fatto che i costi capitali e quelli ricorrenti per la gestione dell’ospedale offrivano l’opportunità di attrezzare e gestire numerosi centri e ospedali rurali per contrastare la silenziosa e raccapricciante strage determinata dalle comuni malattie infettive e dalle gravidanze non assistite da personale addestrato. E che Emergency ha finito per imporre la propria agenda al Sudan, per poi farsela finanziare.
Non vi sono dubbi, come sostiene Emergency, che anche le popolazioni povere hanno diritto a servizi sanitari di qualità. Ma chi ne pagherà il prezzo negli anni a venire?
Ringraziamenti
Quest’articolo trae spunto da una visita informale effettuata all’ospedale Salam di Emergency a Khartoum il giorno 30 marzo 2008, anniversario del compleanno di Maometto. Sono grato al personale di Emergency per il tempo dedicato e la cortese professionalità riservata.
Bibliografia
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Gilliam S (2008), Is the declaration of Alma Ata still relevant to primary health care? BMJ, 336: 536-538.
Government of National Unity, Government of Southern Sudan (2006), Sudan Household Health Survey (SHHS).
High-level Forum on the Health MDGs (2005), Health in fragile states: an overview note, Paris, 14-15 November.
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Italian Global Health Watch (OISG) (2008), From Alma Ata to the Global Fund: the history of international health policy, Social Medicine, 3: 34-46.
Ministry of Health Government of Southern Sudan (2008), Basic package of health and nutrition services for Southern Sudan, third draft, February.
Rampini F (2008), Capitalismo americano corrotto e fragile. Una cintura sanitaria contro il contagio USA, La Repubblica, 21 giugno.
Stefanini A (2007), Cosa è meglio per i sudanesi? Aprileonline, 23: 32-34.
Strada G (2007), Cosa è meglio per i sudanesi? Emergency risponde, Aprileonline, 23: 34-35.
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