La ricerca come passione civile.
Ricordando Alessandro Liberati


“Qui l’avvenire è già presente
chi ha compagni non morirà!”

Da L’Internazionale di F. Fortini, 1971


La mattina dell’1 gennaio 2012 abbiamo tutti perso per sempre l’opportunità di avvalerci dell’intelligenza, della creatività e della passione di Alessandro Liberati, medico, epidemiologo, ricercatore, che ci ha lasciato dopo una lunga malattia che non è mai riuscita, se non nell’inevitabile esito finale, ad impedirgli, davvero sino all’ultimo giorno, di essere lucido, ironico, brillante e simpatico come solo lui sapeva essere.
Lo ricordiamo su queste pagine non solo perché con lui se ne è andata una persona che ci era cara, e nemmeno soltanto per il suo essere stato, tra le tante cose, anche componente del comitato scientifico di questa rivista. Lo ricordiamo per l’insieme del contributo che ha saputo dare alle politiche sanitarie di questo paese nel corso della sua purtroppo troppo breve esperienza professionale.
Ricercatore all’Istituto Mario Negri di Milano, Liberati ha sviluppato in modo pionieristico, in largo anticipo sui tempi, tematiche che sono poi diventate parte integrante delle politiche di miglioramento della qualità dell’assistenza: la valutazione dell’appropriatezza clinica ed organizzativa nell’uso dei servizi sanitari, l’elaborazione delle linee guida come ponte tra ricerca e pratica clinica, l’analisi dei determinanti – scientifici e non – di quest’ultima, per citarne solo alcune. Fondatore, nella metà degli anni ’90, ed animatore sino ad oggi della branca italiana della Cochrane Collaboration, ha promosso in Italia la cultura di una medicina basata sulle prove di efficacia, senza mai disgiungere l’attenzione alle informazioni prodotte dalla ricerca clinica da una spiccata capacità di analisi critica della ricerca stessa, dei suoi limiti e delle sue distorsioni.
Da anni prezioso collaboratore dell’Agenzia Sanitaria e Sociale della Regione Emilia-Romagna, ha dato impulso ed indirizzo alle politiche regionali a sostegno di una ricerca funzionale allo sviluppo dei servizi ed orientata ai bisogni dei pazienti, costruendo modalità di individuazione delle iniziative progettuali da sostenere economicamente, fortemente innovative e basate, oltre che sull’attenzione al rigore metodologico, sulla costruzione di strutturati momenti di confronto fra “chi fa ricerca” e coloro che dovrebbero essere i destinatari, gli utilizzatori, delle informazioni che quelle ricerche forniranno.
La sua vita professionale è stata talmente densa e ricca di esperienze da essere difficilmente sintetizzabile in poche note. Tuttavia, dovendolo fare, dovendo cercare una trama tra le tante cose che Liberati ha saputo costruire nel corso della sua carriera, crediamo di non sbagliare troppo individuando nella ricerca intesa come autentica passione civile il filo conduttore che lega, in modo coerente, l’insieme del suo percorso umano e professionale.
La ricerca come passione civile in quanto intesa come strumento che mette in discussione gli status quo consolidati e lascia intravvedere, nei cambiamenti che promuove, orizzonti diversi e migliori, nel senso di più rispondenti alle esigenze delle persone, ai loro bisogni, relazioni sociali più solidali e democratiche.
Lo studio dei determinanti della pratica clinica è stato per Liberati occasione per dimostrare empiricamente come le pratiche assistenziali finiscano talvolta per trascurare proprio quella che dovrebbe essere la loro primaria attenzione, i bisogni dei pazienti, e per documentare come gli ‘esperti’ siano spesso giganti con piedi di argilla, una volta che le loro opinioni siano rese verificabili con gli strumenti della ricerca.
Strumenti verso i quali peraltro Alessandro, che pure era raffinato metodologo, non nutriva alcuna acritica venerazione. Da questo punto di vista, l’Evidence-based medicine (Ebm), l’acquisizione scientifica e culturale della necessità di una rigorosa verifica empirica, era vista  principalmente come elemento di trasparenza e, in questo senso, di ‘democratizzazione’ della medicina, rendendo possibile attraverso l’adozione di criteri espliciti, e quindi scrutinabili, un’analisi critica della ricerca, dei suoi percorsi e dell’utilità effettiva dei suoi risultati. Esperto di metanalisi e revisioni sistematiche, di queste apprezzava principalmente, più che i tecnicismi statistici, la possibilità di verificare la presenza di una coerenza tra i quesiti affrontati dalla ricerca e le domande, spesso inevase, che emergono dai bisogni dei pazienti.
Per Alessandro, dunque, l’Ebm non sostituisce alla dittatura oscurantista degli esperti e delle loro insindacabili opinioni quella, magari appena più illuminata, dei metodologi e degli epidemiologi clinici. È occasione di lettura critica della ricerca e della sua effettiva capacità di offrirsi come valido punto di riferimento per le decisioni cliniche e di politica sanitaria.
È su questo percorso intellettuale che Alessandro ha sviluppato il tema, negli ultimi anni vissuto anche in prima persona, oltre che come studioso, della partecipazione dei pazienti e dei cittadini alle decisioni cliniche che riguardano le modalità di assistenza loro destinate, come pure all’individuazione di quelle che dovrebbero essere le priorità della ricerca.
Visto da questa prospettiva, ricordare Alessandro ed il suo lavoro significa di fatto interrogarci su come perseguire, nella pratica e nella ricerca clinica, quella centralità della persona e dei suoi bisogni spesso evocata, ma altrettanto spesso negletta. Significa ricordare che la ricerca è questione importante e delicata, che dentro i suoi percorsi e le sue traiettorie si prefigura il nostro futuro.
Uno sguardo costantemente e coraggiosamente fiducioso verso il futuro è stato forse un altro elemento che ha sempre caratterizzato la storia professionale di Alessandro. Una fiducia mai ingenua, anzi, pienamente consapevole dei problemi da affrontare e della loro complessità, ma sempre desiderosa di guardare avanti. È anche in questo quadro che si spiega la sua passione per la formazione, espressa sia nell’attenzione, anche umana, verso i suoi più giovani collaboratori, sia nell’impegno rivolto alle molteplici iniziative didattiche e formative che ha promosso.
Se da una parte queste note vogliono essere un doveroso ed affettuoso omaggio, certamente non è con esse che dovrà esaurirsi il ricordo di Alessandro Liberati. Ci ha lasciato in eredità spunti, riflessioni e stimoli che dovremo saper raccogliere e mantenere come parte integrante del nostro impegno quotidiano da qui in avanti. In questo senso, mantenere viva una riflessione critica sulla ricerca, sui suoi limiti attuali e sulle sue potenzialità come strumento per il miglioramento dello stato di cose presente, sarà certamente il modo migliore per continuare a sentircelo vicino, consapevoli che, come lui ci ha insegnato, non c’è buona scienza e buona ricerca se non c’è passione civile.

Roberto Grilli
Direttore, Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale
Regione Emilia-Romagna