Salvaguardare il sistema di welfare, riconvertire le risorse
Nerina Dirindin
Università di Torino e Coripe Piemonte

 1. Perché questo documento1
La grave crisi, non solo economica, che stiamo vivendo richiede uno straordinario e prolungato impegno da parte di ogni persona affinché il sistema di tutela della salute non venga travolto ma, al contrario, venga migliorato e consolidato.
Il presente documento, frutto di una riflessione collettiva, propone alcune considerazioni sullo stato dei servizi sanitari e dei servizi sociali attualmente offerti a chi vive nel nostro paese e sulle azioni utili per affrontare concretamente le grandi difficoltà che si stanno presentando e che sempre più si presenteranno nei prossimi anni.  
L’obiettivo è contribuire a riflettere nell’ottica del far ripartire la crescita; meno risorse in sanità e nel sociale deprimono ulteriormente l’economia e peggiorano le condizioni di vita delle persone.
In questa sede il welfare è affrontato con riferimento alle politiche in tre settori fondamentali per il benessere delle persone: il settore sanitario, il settore sociosanitario e il settore sociale. I tre settori sono in realtà (anche se non sempre in pratica) un unico settore, ma sono qui analizzati distintamente al fine di favorire una più efficace analisi per parti. Si noti la scelta di considerare esplicitamente il settore sociosanitario, in ragione della sua particolare rilevanza soprattutto in relazione ai cambiamenti che dovranno essere avviati. L’attuale versione del documento si concentra soprattutto sul settore sanitario. Per quanto riguarda il settore sociosanitario e il settore sociale, le azioni da intraprendere saranno oggetto di un successivo documento.
1.1. Non andare oltre il contenimento
delle inefficienze

La crisi economico-finanziaria sta imponendo al sistema di welfare revisioni e ridimensionamenti che rischiano di andare oltre il pur necessario contenimento delle inefficienze e il doveroso contributo al risanamento della finanza pubblica.
Il rischio è che, di fronte alle gravi difficoltà, siano sacrificati i principi di fondo che il nostro sistema di tutela della salute ha da tempo adottato. È più semplice tagliare intere aree di intervento o rinviare a complesse riorganizzazioni dei servizi, piuttosto che intervenire puntualmente sulle tante, piccole e grandi, inefficienze e inadeguatezze che si celano all’interno di un sistema le cui fondamenta e la cui funzionalità vanno riconosciute e preservate.
La crisi non può diventare la giustificazione di un rovesciamento dei principi.
Al contrario, la crisi può diventare una potente occasione per impegnarsi a liberare energie e risorse (da destinare a migliorare l’offerta di servizi e reggere l’impatto delle ristrettezze) e per trovare il coraggio di intraprendere le azioni, da tempo attese, necessarie per superare in alcune realtà territoriali le storiche debolezze che gravano su una parte dei cittadini del nostro paese. L’obiettivo è coerente con le evidenze internazionali che mostrano l’Italia fra i primi posti nell’area Oecd quanto a performance complessiva del settore sanitario (anche in termini di efficienza) ma confermano l’esistenza di ulteriori margini di miglioramento.
1.2. Che cosa fare e che cosa non fare
Come affrontare la crisi evitando di distruggere l’attuale sistema di tutela della salute? Come evitare di lasciare in eredità alle future generazioni un sistema completamente da ricostruire?
Governare la crisi vuol dire innanzi tutto interrogarsi su cosa non si deve fare (né oggi, né domani), su quali strategie possono essere esplorate e su cosa si può fare (a partire da oggi).
Con un orizzonte di breve periodo, perché la crisi impone di agire subito, ma anche di lungo periodo, perché alcuni interventi hanno bisogno di tempi lunghi e proprio per questo devono essere avviati sin da subito.
Senza censurare ipotesi coraggiose, o già tentate in passato, senza esclusioni pregiudiziali, imparando dalle esperienze positive ma anche da quelle negative, evitando falsi risparmi e finte innovazioni, adattando gli interventi ai problemi delle singole realtà, avendo ben chiaro il sentiero da percorrere.
La strada da percorrere è infatti per lo più già chiaramente segnata: tutte le valutazioni, nazionali e internazionali, concordano nella diagnosi e nella terapia; il problema è come somministrare la terapia a chi ne ha bisogno (affrontando le resistenze e le inerzie) e come evitare di somministrarla a chi non ne ha bisogno (rifiutando, ad esempio, la logica degli interventi lineari).
Le azioni da avviare richiedono determinazione e consapevolezza, perché attengono a questioni delicate quali le aspettative dei cittadini, le condizioni di lavoro degli operatori, i rilevanti interessi economici, nonché a importanti aspetti culturali che incidono sulla vita e sulla salute di ogni persona.
1.3. La pesante dimensione dei tagli
Per quanto riguarda la sanità, rispetto al Patto per la salute 2010-2012, le recenti manovre hanno previsto tagli ai fondi per il Servizio sanitario nazionale (Ssn) che arriverebbero a raggiungere nel 2014 un valore pari a circa mezzo punto di Pil (poco meno di 8 miliardi di euro, su un Pil che purtroppo non cresce).
Ai tagli nel settore sanitario, si aggiunge il quasi totale azzeramento dei fondi statali per le politiche sociali che nel 2012 sono meno di un decimo di quelli stanziati nel 2008.
Più in generale, la riduzione delle entrate delle Regioni e degli Enti locali (conseguente alle manovre del 2011) e le incertezze legate al processo di attuazione del federalismo fiscale rendono impraticabile qualunque integrazione delle risorse da parte dei livelli decentrati di governo.
L’effetto complessivo di tali pesanti restrizioni non potrà che gravare sulle persone più fragili, alle quali non sarà più possibile erogare quelle forme di assistenza che, pur con qualche difficoltà, hanno contribuito a fornire una risposta alle esigenze più gravi.
A questo si aggiunge il rischio di una progressiva demotivazione degli operatori, del sociale e del sanitario, sui quali ricadono condizioni di lavoro sempre più pesanti e sui quali grava l’odiosa ‘responsabilità’ di negare l’assistenza alle persone che accedono ai servizi.
1.4. Affrontare le sfide con orgoglio e coraggio
In un momento di gravi restrizioni, le politiche sociali e sanitarie hanno bisogno di consenso; è necessario che tutti (cittadini e operatori) capiscano che nulla può essere dato per scontato e che ognuno deve fare la propria parte per superare inerzie, piccoli privilegi, individualismi, diffuse auto-referenzialità, rigidità pretestuose, pigrizie strumentali e passiva indifferenza.  
È necessario affrontare le sfide con quell’orgoglio che solo la sanità pubblica può vantare (per il percorso che ha fatto nel nostro paese, unanimemente riconosciuto come virtuoso, soprattutto a livello internazionale) e con quel coraggio che solo le politiche sociali possono mettere in campo (perché investite del compito di sostenere i più deboli).
L’imposizione di continue restrizioni, con norme spesso assurde e contraddittorie, non è la strada per far emergere l’orgoglio e il coraggio necessario per vincere la sfida.
Il coinvolgimento degli operatori e delle persone destinatarie dei servizi è l’unica via in grado di generare contemporaneamente più efficienza e più qualità, anche in una fase di grandi ristrettezze. Questa via richiede più chiarezza nelle analisi dello status quo e più lungimiranza nella individuazione delle azioni da intraprendere, in modo da rendere ognuno più consapevole degli oneri che deve sopportare e degli obiettivi che li giustificano.
1.5. Il significato etico della lotta agli sprechi
A fronte di un sistema sanitario complessivamente di buon livello, non si può tacere l’esistenza di carenze e malfunzionamenti che in alcune realtà, non sempre circoscritte solo al Mezzogiorno, rischiano di rendere insostenibile l’intero sistema.
Le esperienze regionali mostrano che, dove la sanità pubblica ha potuto contare su tecnici preparati e politici attenti all’interesse generale, il Ssn ha prodotto risultati unanimemente riconosciuti come positivi. Al contrario, dove la qualità dell’apparato tecnico e dei responsabili politici si è mostrata più carente, le politiche sanitarie sono rimaste inattuate. Di qui la necessità, da un lato, di tecnici preparati e, dall’altro, di una politica consapevole della complessità del settore e capace di rinunciare al suo sfruttamento a fini clientelari.
Il principale punto di debolezza, infatti, sembra essere la fragilità dei principi etici che, in alcune realtà, guidano ai diversi livelli di responsabilità l’attuazione concreta di quanto previsto dalla normativa esistente. E difficilmente la risposta può essere meramente normativa.
Di fronte alle difficoltà del sistema, le risposte non possono limitarsi ad interventi di contenimento della spesa. I prossimi anni devono essere caratterizzati da un forte impegno sul piano dell’incoraggiamento all’etica, del rispetto della dignità della persona, della valorizzazione delle competenze professionali (anziché delle appartenenze); del sostegno all’evidenza scientifica, del riconoscimento del significato etico (e non meramente contabile) della lotta agli sprechi, dell’attenzione alle disuguaglianze, del recupero della capacità di indignarsi di fronte al diffondersi di comportamenti opportunistici da parte di fornitori, erogatori e professionisti.
1.6. Proposte coerenti con la forte eterogeneità interregionale
I sistemi sanitari regionali, così come li osserviamo oggi, sono il risultato di un percorso di crescita e aggiustamento che si è sviluppato nel corso dei decenni e la cui realizzazione ha richiesto energie e determinazione. Ne è riprova la storia dei piani sanitari regionali, dalla quale appare evidente che le Regioni che si sono dotate sin dai primi anni ’80 di un adeguato quadro di programmazione e regolazione (segno di un forte impegno politico nei confronti della sanità e di una radicata sensibilità dei cittadini nei confronti della tutela della salute) hanno evitato inerzie, improvvisazioni e interessi di parte.
Al contrario, la cronica assenza di programmazione, il consolidarsi di forti interessi economici, l’utilizzo della sanità a fini politici, il diffondersi di fenomeni di illegalità, l’abitudine a prescindere dalle regole, sono tutti fattori che hanno spinto le realtà più deboli lungo binari difficili da abbandonare perché profondamente segnati dalle carenze accumulate negli anni, salvo qualche rara eccezione. L’esperienza insegna che più i divari da colmare sono rilevanti, più il futuro è pesantemente condizionato dal passato e i comportamenti sono modificabili solo con un impegno prolungato. Per questo è necessario che la crisi si trasformi in un’occasione per far emergere il coraggio e le energie, piuttosto che i tentennamenti e i timori, anche grazie a un autorevole e intransigente intervento del livello nazionale. Per questo è indispensabile far ripartire quella parte del paese rimasta troppo a lungo ferma al punto di partenza.
Il sistema di tutela della salute ha bisogno quindi di proposte coerenti con la forte eterogeneità interregionale. La riduzione dei divari nell’offerta di tutela fra il Nord e il Sud del paese è il principale problema da affrontare2.
1.7. Un sistema ineccepibile nei comportamenti
Tenuto conto degli obiettivi che gli sono affidati, il sistema sanitario dovrebbe essere ineccepibile dal punto di vista non solo della qualità tecnica degli interventi ma anche della capacità di tutti gli operatori, a partire da quelli con responsabilità più elevate, di attendere al lavoro quotidiano con la stessa cura con la quale accudiscono i propri familiari o la propria casa. Rispetto nell’accoglienza, pulizia degli ambienti, attenzione alla persona in difficoltà, semplificazione della burocrazia, sicurezza delle strutture e dei luoghi di cura (e di lavoro), sostenibilità ambientale, osservanza di tutte le norme, attenzione ai più fragili, non sono che alcune delle capacità che il sistema dovrebbe proporsi di promuovere ed esercitare con regolarità e spontaneità. E senza che siano necessarie nuove risorse economiche, ma mobilitando le risorse umane e l’impegno civile che albergano in ogni operatore e in ogni cittadino.
Meritano attenzione tre importanti obiettivi, attuali non perché proponibili in tempi di restrizioni, ma perché espressione di una forte capacità di innovare nella cultura e nei comportamenti e di rendere il welfare più accogliente:
a. il recupero di un rapporto più umano fra operatori e assistiti e loro familiari (spesso ancora troppo burocratico, impersonale e segmentato);
b. il miglioramento della qualità dei luoghi delle cure, perché componente dell’accoglienza, luogo di lavoro di centinaia di migliaia di operatori ed espressione del valore attribuito dalla collettività ai luoghi pubblici;
c. la realizzazione di una reale (e non solo enunciata) integrazione fra il sociale e il sanitario, nell’interesse dell’assistito.
A questi obiettivi si aggiunge quello della legalità, di cui al punto 1.8.
1.8. Più attenzione a legalità e trasparenza
L’integrità del sistema richiede una costante attenzione nei confronti del rischio di contaminazioni da fenomeni di abuso di potere, corruzione e criminalità, non tollerabili all’interno di un settore che deve farsi carico di chi sta sperimentando momenti di malattia e disagio.
Più attenzione alla legalità, alla trasparenza, al rigore è indispensabile in un sistema sempre più esposto a condizionamenti, a livello sia locale sia nazionale3.
Un surplus di impegno è necessario in ambiti quali l’acquisto di beni e servizi, la gestione del personale e l’utilizzo del territorio, affinché il prevalere – nei comportamenti dei decisori – di ambizioni individuali e private non conduca a scelte a danno della collettività.
Particolare impegno va riservato al rischio di una crescente presenza all’interno del settore sanitario della criminalità organizzata, infiltrata attraverso il sistema degli appalti, nell’edilizia sanitaria così come nella fornitura di servizi (pulizia, ristorazione, smaltimento rifiuti, etc.). La politica delle esternalizzazioni, spesso necessaria e per lo più illusoria (quanto a contenimento della spesa), ha di fatto prodotto risultati molto modesti in termini di efficienza (anche in ragione della scarsa capacità delle Aziende sanitarie di sottoscrivere adeguati contratti di fornitura), ma ha purtroppo esposto il settore alla penetrazione di organizzazioni a rischio di comportamenti illeciti (dal rispetto dei contratti di lavoro, alla corruzione e al riciclaggio) 4.
1.9. Dare dignità al lavoro di cura
La nostra società non appare più capace di riconoscere il grande valore del lavoro di cura.
Le politiche sociali e sociosanitarie soffrono della scarsa considerazione che la cultura prevalente e il mercato del lavoro ripongono in tutti i lavori volti alla cura delle persone fragili. Ne discende un maltrattamento (non solo economico) del lavoro di cura, da cui una scarsa offerta da parte dei giovani (anche in settori ad alta potenzialità di occupazione), una frequente violazione dei contratti di lavoro (anche nel terzo settore), un’inosservanza delle tutele dei lavoratori, una diffusa bassa qualificazione degli operatori. Il fenomeno appare particolarmente preoccupante perché incide soprattutto nell’ambito della domiciliarità e dell’assistenza sul territorio, ovvero proprio in quei settori che dovrebbero essere sempre più sostenuti e sviluppati, nell’interesse delle persone in difficoltà. Non va inoltre trascurato che in questo particolare momento storico la capacità economica dei destinatari dei servizi domiciliari è in forte sofferenza, da cui il rischio di ulteriore minore attenzione al lavoro di cura.
È pertanto necessario attivare politiche volte a dare dignità a tutti i lavori di cura, dal punto di vista sociale e professionale, promuovendo l’immagine del lavoro di cura, intervenendo sulle gare al ribasso, monitorando il rispetto dei contratti di lavoro (pena, ad esempio, l’esclusione dall’albo dei fornitori accreditati), promuovendo forme di qualificazione professionale (senza peraltro ricostruire le rigide gerarchie della sanità), etc.
1.10. L’appropriatezza: di più non vuol dire meglio
Il dibattito in corso tende a concentrarsi principalmente sulle inefficienze legate a come produrre una data prestazione sanitaria o sociale (costo per unità di prestazione prodotta) e a trascurare le inefficienze legate a quali prestazioni produrre e per quali pazienti. La letteratura e l’esperienza internazionale sottolineano invece la necessità di aggredire con più determinazione le inefficienze legate all’efficacia e all’appropriatezza dei percorsi di cura5. Un ricovero ospedaliero può essere erogato nella migliore delle organizzazioni produttive, ma se tratta un paziente che non ha bisogno di un soggiorno in ospedale produce il massimo dell’inefficienza complessiva. E contro tale evenienza, il semplice controllo del costo di produzione (rispetto al costo standard per unità di prestazione) è del tutto inutile.
È quindi necessario che sia rafforzato il percorso, già avviato da molti anni in Italia, ma ancora molto fragile, della appropriatezza delle cure. Affidarsi al principio dell’appropriatezza significa valorizzare la professionalità degli operatori e dei decisori, evitando comportamenti condizionati unicamente dai tagli di risorse; significa liberarsi della logica passiva del contenimento dei costi, per diventare protagonisti di strategie attive di miglioramento della qualità del servizio, ovunque possibile. Nel settore sanitario, perseguire l’appropriatezza vuol dire avere ben chiaro che “fare di più, non vuol dire fare meglio”. Anzi, spesso è possibile fare meglio ricorrendo meno a farmaci, prestazioni specialistiche, degenze ospedaliere, etc., ovvero evitando l’erogazione di interventi che – rispetto allo specifico bisogno di salute della persona – risultano inutili, inefficaci o con un elevato rapporto costo-efficacia (relativamente alle alternative disponibili). Quindi non solo appropriatezza tecnica, ma anche appropriatezza organizzativa (dei percorsi, dei setting di cura, delle reti cliniche etc.).
Al contempo, nell’ambito delle politiche sociali, è urgente un ripensamento delle politiche di intervento, delle priorità e delle tipologie di intervento, in modo da garantire, in un momento di ristrettezze, il miglior uso delle poche risorse disponibili, nella consapevolezza che molto può essere fatto anche a parità di risorse.
A partire da tali riflessioni, il presente documento vuole essere un contributo per costruire un futuro di speranza per le politiche sociali, sociosanitarie e sanitarie, nella piena consapevolezza che in passato il paese è stato in grado di affrontare sfide ancora più impegnative e che i presupposti propri del settore sono tali da prefigurare un sentiero stretto ma con un orizzonte illuminato.
2. Da dove partiamo: uno sguardo alla
situazione attuale
Di fronte a qualunque difficoltà, è indispensabile formulare una diagnosi il più possibile accurata, per poi definire una adeguata terapia. Partiamo quindi da una riflessione sullo stato attuale dei servizi sanitari e sociali offerti a chi vive nel nostro paese.
2.1. Importanti progressi nella salute degli italiani
Rispetto al resto del mondo sviluppato, gli italiani godono di buoni livelli di salute. Nel 2008, siamo al terzo posto al mondo per speranza di vita alla nascita (dopo Giappone e Svizzera6) e al secondo posto per bassa mortalità (oltre un quarto in meno della media europea). Gli italiani non vivono solo più a lungo; vivono anche più a lungo in buona salute, liberi da patologie o da disabilità: fra gli anziani la cronicità insorge a un’età di circa 5 anni più elevata rispetto a quella di 10 anni fa7. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi nei quali la disabilità fra gli anziani tende lentamente a ridursi8: la mortalità infantile, un tempo responsabile di un numero elevato di morti nel primo anno di vita, si è ridotta a ritmi nettamente superiori a quelli del resto d’Europa ed è ora al di sotto della media dei paesi sviluppati9.
Non tutti gli indicatori sono tuttavia positivi. Preoccupanti sono l’alta prevalenza (fra gli over 30) delle demenze (l’Italia è seconda sola alla Svezia) e la forte crescita del tasso di obesità fra i giovani in età 11-15 anni (occupiamo il quarto posto fra i paesi sviluppati)10.
2.2. Buona l’accessibilità a servizi tempestivi
e appropriati
Il buon stato di salute è sicuramente legato alle condizioni socio-economiche, ma è anche il risultato di una ampia accessibilità a trattamenti sanitari efficaci, grazie alla presenza di un servizio sanitario universalistico, finanziato a carico della fiscalità generale.
Ne è riprova la stima dell’Oecd (2011) delle “morti potenzialmente evitabili attraverso interventi sanitari tempestivi e appropriati”: fra i 27 paesi europei, l’Italia occupa il terzo posto (dopo Francia e Islanda) per il minor numero di morti evitabili11. E ciò nonostante il basso tasso di ospedalizzazione (il 24% in meno della media europea) e la bassa spesa sanitaria pubblica.
I confronti internazionali indicano per contro significative carenze in alcuni specifici settori, particolarmente importanti per la qualità della vita delle persone, quali la non autosufficienza (soprattutto fra gli anziani)12 e i malati terminali, nei confronti dei quali le azioni sono per lo più a macchia di leopardo13.
2.3. La sobrietà del sistema sanitario italiano
Nonostante la pesante crisi economica e il conseguente sensibile aumento del rapporto spesa/Pil, la spesa sanitaria totale (pubblica e privata) è ancora nettamente inferiore a quella dei paesi con livello di sviluppo simile al nostro: 9,5% del Pil nel 2009 (11,8% in Francia, 11,6% in Germania, 10% in Svezia, 9,8% nel Regno Unito). Anche la spesa sanitaria pubblica si assesta su livelli inferiori rispetto sia a quelli dei paesi con sistemi di sicurezza sociale (Francia, Germania, Austria) sia a quelli dei paesi scandinavi con sistemi universalistici 14.
È appena il caso di ricordare che la spesa complessiva è nettamente inferiore a quella dei paesi con un sistema sanitario affidato in maniera rilevante al finanziamento privato.
Anche la dinamica della spesa negli ultimi anni non è di per sé motivo di preoccupazione: secondo il Ministero dell’economia15, l’insieme degli strumenti di governance adottati con gli Accordi Stato-Regioni ha consentito “un significativo rallentamento della dinamica della spesa e, a decorrere dall’anno 2008, il profilarsi di un andamento effettivo della spesa coerente con quello programmato”. In particolare, mentre “nel periodo 2000-2005 il tasso medio di incremento della spesa sanitaria è stato pari al 7,3% annuo, nel periodo 2006-2009 il tasso è risultato pari al 2,9%”.
Anche gli studi sulla performance complessiva dei sistemi sanitari confermano tale giudizio: l’Italia occupa i primi posti fra i paesi dell’area Oecd quanto a livelli di efficienza in termini relativi rispetto ai paesi con le migliori performance (siamo superati solo da Francia e Islanda)16.
Ciò nonostante, lo stato della finanza pubblica e gli spazi di miglioramento sono tali da richiedere una continua attenzione al contenimento delle inappropriatezze e delle inefficienze17.
2.4. La sanità ha bisogno di più sociale
L’attuale sistema sanitario necessita di una forte alleanza con il sistema socio-assistenziale. Sempre più frequentemente, infatti, le inadeguatezze del sistema sanitario sono esplicitate con riferimento alla sua incapacità di integrarsi sul territorio con quel sistema di servizi sociali che può non solo contribuire a migliorare il benessere delle persone, ma soprattutto valorizzare gli interventi sanitari moltiplicandone le ricadute positive sugli assistiti. Fortunatamente, il settore sanitario sta sempre più, e non senza qualche resistenza, assumendo consapevolezza della necessità di garantire non solo buoni interventi sanitari, ma anche una migliore continuità della presa in carico, attraverso una forte integrazione con i servizi sociali, con il terzo settore, le comunità locali. L’alleanza fra sociale e sanità è vantaggiosa per tutti: consente di moltiplicare gli effetti della spesa pubblica per il welfare, offre al sociale un alleato con grande peso sui decisori, offre alla sanità la possibilità di allentare le pressioni sulle sue strutture (spostando parte degli interventi sul sociosanitario). L’esperienza di alcune Regioni sulla non autosufficienza va in questa direzione: il potenziamento dell’offerta a favore degli anziani ha coinciso non solo con il miglioramento della qualità delle risposte assistenziali, ma anche con il contenimento di quella parte della spesa sanitaria con funzioni di supplenza della spesa sociale. Non è da sottovalutare infine il ruolo che le politiche sociali possono svolgere in termini di creazione di posti di lavoro, attualmente fortemente penalizzata dalle restrizioni sui servizi sociali (enti, cooperative, associazioni, etc.) e in parte anche in sanità.
2.5. Le politiche sociali devono diventare
più ambiziose
Non bisogna peraltro cadere nell’errore di considerare rilevanti le politiche sociali solo perché complementari alle politiche sanitarie. Il concepire le politiche sociali come destinate a contrastare le varie forme di privazione (di abilità fisiche, di beni primari, di capacità sociali, di dotazioni culturali, di occasioni economiche, di protezione, etc.) ci aiuta a non dimenticare che al centro del sistema di welfare, e più in generale delle politiche pubbliche, c’è la persona e il suo benessere, non la produzione di servizi o il rispetto di parametri macroeconomici (per quanto importanti). Un’ampia letteratura scientifica mostra come nei paesi sviluppati migliori condizioni di vita possono essere raggiunte attraverso la riduzione delle diseguaglianze (economiche e sociali) e non solo attraverso la crescita del Pil. In tale contesto le politiche sociali hanno il compito di ricordare che lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti di illibertà (per usare il linguaggio di A. Sen): la povertà materiale, la deprivazione sociale, le limitazioni alla partecipazione alla vita della comunità. Per questo le politiche sociali devono diventare più ambiziose. Devono trovare la forza di uscire dall’angolo angusto in cui per troppo tempo sono state relegate e, soprattutto in un periodo di grave crisi, vigilare affinché a fianco degli obiettivi di stabilità macroeconomica siano perseguiti obiettivi di crescita selezionati per la loro capacità di promuovere uno sviluppo inclusivo, sostenibile e intelligente, secondo quanto indicato nella Strategia 2020 dell’Unione Europea.
Le timidezze silenziose delle politiche sociali devono essere sostituite con la consapevole audacia di chi sente la responsabilità di non restare indifferente di fronte alle fragilità superabili.
2.6. Pochi investimenti per la famiglia, le donne,
i bambini
Le debolezze delle politiche sociali sono evidenti nella scarsa considerazione riservata, nel nostro paese, ai bambini, ai giovani, alle donne, alle famiglie18.
L’Italia spende poco per la famiglia: 1,4% del Pil, contro il 3,7% della Francia, il 2,8% della Germania e il 2,4% in media nei paesi Oecd.
E come in tutti i paesi in cui si spende poco per la famiglia, la fertilità è più bassa, l’occupazione femminile è più contenuta, il carico di cura che grava sulle donne per responsabilità familiari è più elevato e il rischio di povertà infantile è più alto19.
Secondo gli ultimi dati Istat (2010), in Italia il 24% delle donne nate nel 1965 non ha figli (il 10% in Francia); le barriere alla realizzazione della maternità desiderata sono alte; l’offerta di posti negli asili nido è fra le più basse dell’Oecd; il tasso di povertà infantile è pari al 15% (8% in Francia e in Germania, 13% in media in 34 paesi Oecd), l’88% dei bambini che vive in una famiglia con uno dei genitori disoccupato è povero (36% Francia, 46% Germania).
La strada della crescita non può limitarsi agli investimenti nei tradizionali settori produttivi, ma deve necessariamente prevedere investimenti a favore dei giovani e delle donne, sul piano formativo, culturale, delle opportunità, etc.
2.7. Gli anziani sono una risorsa, non un peso
Le persone anziane sono una risorsa ricca di competenze, esperienze e testimonianze. Garantiscono alle famiglie e alle comunità il senso di continuità tra presente e futuro, alimentando le radici che identificano e danno senso alla vita delle collettività. Sono risorsa per le nuove generazioni, sia per i bambini sia per i loro genitori, che possono contare su un costante aiuto e sostegno.
La società moderna tende invece a considerare gli anziani un peso, un problema per la spesa previdenziale e per la spesa sanitaria, un intralcio all’efficienza dei sistemi produttivi (per la loro minore produttività), un onere a carico delle generazioni attive (per il lavoro di cura che spesso richiedono), un motivo di preoccupazione che può essere attenuato con il ricovero in residenze per anziani.
Il sistema di welfare deve sostenere il superamento di tale visione negativa, promuovendo e testimoniando la cultura del prendersi cura, del dare risposte ai bisogni primari, del rispetto dovuto alle persone a maggior ragione quando queste non dispongono più di alcune capacità considerate normali. Ogni operatore della sanità e del sociale, a partire da chi ha maggiori responsabilità decisionali, deve farsi carico di testimoniare quotidianamente, con comportamenti e atti, che il principio del rispetto della dignità della persona, alla base del nostro welfare, non è solo una bella enunciazione ma è profondamente radicato nella cultura e nella formazione dei professionisti.  
2.8. Scelte difficili in un quadro di finanza pubblica da risanare
Considerata l’attuale necessità di contenere il disavanzo e il debito pubblico, il paese si trova di fronte a scelte difficili, talvolta percepite come impossibili.
Gli interventi da realizzare sono numerosi. In alcuni settori e in alcune realtà territoriali prevale la necessità di pochi grandi interventi strutturali, di rottura rispetto al passato, in grado di produrre risultati solo nel medio periodo e da perseguire con irremovibile fermezza, una volta individuati obiettivi condivisi di sviluppo.
Ma è parimenti importante promuovere tanti piccoli interventi di miglioramento puntuale delle attività quotidiane, in grado di produrre risultati nel breve periodo, in un contesto di consolidamento delle scelte di fondo del passato. La crisi può essere affrontata anche avviando una puntuale ricognizione di tutti quei piccoli interventi di recupero di risorse colpevolmente trascurati in tempi di abbondanza, ma fondamentali per ricostruire una cultura diffusa di attenzione all’interesse generale e alle risorse pubbliche.
3. Che cosa non si deve fare
Equivoci, disinformazione e interessi di parte possono portare a scelte disastrose per il sistema di tutela della salute.
Per questo è necessario riflettere in primo luogo su ciò che va evitato.  
Di fronte alla grave crisi, non si può procedere con interventi decisi sull’onda dell’emergenza finanziaria, spesso con una buona dose di improvvisazione, incapaci di produrre cambiamenti concreti, dove il nuovo si sovrappone al vecchio appesantendo il sistema, creando confusione o spostando semplicemente gli oneri in capo ai cittadini.
Per non andare oltre il pur necessario contenimento delle inefficienze e il doveroso contributo al risanamento della finanza pubblica, è opportuno procedere individuando innanzi tutto ciò che va salvaguardato.
3.1. No al superamento implicito dell’universalismo
Nel Ssn l’universalismo è il primo principio fondamentale che deve essere preservato.
Preservare l’universalismo non significa lasciare tutto immutato. Anzi, è vero il contrario. Perché salvaguardare l’universalismo significa promuovere quelle innovazioni indispensabili per adeguare il Ssn ad una domanda di tutela in continuo cambiamento e per evitare il fiorire, soprattutto in momenti di crisi, di interventi-tampone che indeboliscono il sistema.
L’obiettivo è adeguare progressivamente il sistema, offrendo una protezione universale a costi sostenibili a carico della fiscalità generale, evitando le inefficienze e le iniquità proprie dei mercati assicurativi, contrastando quei fenomeni (di scadimento qualitativo del servizio o di aumento dei costi al momento del consumo) che fanno aumentare l’insoddisfazione degli assistiti e che, anziché tradursi nella domanda di una migliore sanità pubblica, rischiano di favorire richieste di exit dannose per tutti.
Ne è esempio la necessaria revisione del sistema dei ticket (sia della compartecipazione al costo, sia dei criteri di esenzione), il cui ridisegno (anche in relazione alla previsione – di cui alla manovra del luglio 2011 – di un pesante aumento degli oneri imposti all’assistito) richiede un’attenta analisi dell’attuale sistema in termini di efficacia e di equità, oltre che di rispetto al principio di uniformità in presenza di differenze interregionali sempre più consistenti 20.
Si pensi inoltre a quegli interventi che possono condurre a una attenuazione dell’interesse dei ceti più abbienti a restare dentro il sistema, riducendo i benefici loro garantiti in cambio dei tributi pagati, aumentando in modo rilevante la loro compartecipazione al momento dell’utilizzo delle prestazioni e lasciando dequalificare il servizio sotto gli aspetti non solo tecnici ma anche dell’accoglienza21.
Diverso è il caso delle politiche sociali, sulle quali si ritornerà in seguito, dove l’universalismo non è mai stato praticato.
3.2. No al ridimensionamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria
I livelli essenziali di assistenza sanitaria, Lea, sono il secondo principio fondamentale che deve essere preservato.
Anche in questo caso, preservare i Lea non significa che tutto debba restare immutato. Anzi è vero il contrario. I livelli essenziali di assistenza, definiti nel 2001, devono essere aggiornati e riqualificati. La revisione (già disposta nel 2007, ma mai adottata e ora ulteriormente da rivedere) implica ingressi e uscite di prestazioni e di criteri di erogazione sulla base dei progressi compiuti in campo scientifico, tecnologico, organizzativo ed economico22.
La revisione deve evitare ogni riduzione, implicita o esplicita, dei Lea non giustificata da evidenze scientifiche; al contempo non va più tollerato il mantenimento all’interno dei Lea, a carico della collettività dei contribuenti, di prestazioni di efficacia non dimostrata o più costose a parità di efficacia.
Si pensi in particolare alla – più volte ventilata – esclusione dai Lea di parte delle attività di specialistica ambulatoriale: l’elevata sostituibilità delle diverse prestazioni (o delle modalità di erogazione) e la spinta del mercato all’aumento indiscriminato dei consumi produrrebbero un effetto complessivo con saldo negativo: a fronte infatti di una modesta riduzione della spesa pubblica si produrrebbe un consistente aumento della spesa privata (a carico delle fasce di cittadini che accedono al mercato privato) e un ritardo nell’accesso all’assistenza (da parte dei meno abbienti). In tale ottica vanno attentamente valutate forme striscianti di riduzione dei Lea, quali quelle che rendono più costoso il ricorso alle strutture pubbliche rispetto a quelle private (come, ad esempio, il super ticket di 10 euro sulla specialistica ambulatoriale, i cui effetti sono notoriamente perversi).
3.3. No alla sostituzione delle politiche sociali
con la beneficenza
Per quanto riguarda le politiche sociali, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni costituisce un grave pregiudizio per il rispetto dei diritti civili e sociali (tutelati dalla Costituzione) e per un ordinato processo di attuazione del federalismo fiscale. Il pilastro dei livelli essenziali non può essere ulteriormente rinviato.
A fronte della complessità del percorso, l’unico approccio percorribile pare essere l’avvio di un processo che sviluppi una nozione dei Leps flessibile e dinamica, attraverso la graduale definizione dei diversi aspetti a mano a mano che ciascuno di essi arriva a maturazione e il rinvio degli elementi più complessi e delicati; una nozione che incorpori l’idea della necessaria manutenzione dei livelli e si raccordi con le capacità programmatorie e di finanziamento degli enti decentrati.
Un ulteriore rinvio della definizione dei livelli rischia di favorire la progressiva sostituzione delle politiche sociali con la beneficienza, come ventilato dal disegno di legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale approvato dal Consiglio dei Ministri nel giugno 2011: un intervento pubblico che rischia di essere circoscritto alle sole situazioni estreme e comunque solo ove risultasse insufficiente la solidarietà privata23.
Pare inoltre urgente una revisione delle politiche sociali ancora svolte dal livello centrale, sulla base di criteri e logiche ormai in parte superati, ma che – in quanto unica forma di protezione assicurata a molte persone in difficoltà – deve essere affrontata con gradualità (nel tempo e nei contenuti) e attenzione agli effetti sui più deboli24.
3.4. No al permanere delle barriere fra sanità
e sociale
Ancora oggi, dopo tante enunciazioni di principio, un punto particolarmente critico è quello dell’integrazione tra presa in carico di tipo sociale e di tipo sanitario.
Molti fattori hanno reso difficile, anche nelle realtà più avanzate, la pratica quotidiana dell’integrazione fra sanità e sociale: l’enorme divario nelle risorse disponibili, la diversa frammentazione delle competenze, le difficoltà legate al reciproco riconoscimento delle professionalità, la scarsa considerazione del lavoro di cura (nei confronti di persone anziane, con disabilità, etc.), la diffusa autoreferenzialità in entrambi i settori, etc.
In tempi di ristrettezze, le barriere fra sanità e sociale non sono più tollerabili.
I professionisti, le istituzioni, gli enti devono accettare di mettere in pratica nuove relazioni, anche a costo di piccole rinunce alla loro autonomia e modifiche alla loro modalità di lavoro.
La strada maestra, sostenuta da numerose evidenze empiriche, è promuovere l’erogazione di interventi a partire dalla definizione di percorsi personalizzati di presa in carico, progettati e realizzati insieme agli assistiti e alle loro famiglie in un’ottica multiprofessionale, che promuova il mantenimento delle persone nella loro comunità e rifiuti la residenzialità come unica soluzione. Ciò è fondamentale per i risultati ottenibili in termini di benessere, per la qualità e la dimensione delle risorse attivabili sul territorio, ma anche per evitare che alla persona (o alla sua famiglia) siano richiesti solo contributi economici (in una visione meramente economica del servizio).
Pare inoltre necessario il superamento della ancora diffusa frammentazione nel sociale, l’adozione di procedure di programmazione e gestione integrata fra sociale e sanitario, l’armonizzazione degli ambiti di gestione associata dei comuni con i distretti sanitari.
3.5. No ai tagli lineari
In momenti difficili, i tagli lineari sono i più frequenti. E l’enfasi sui costi standard, conseguente al percorso avviato con il federalismo fiscale, rischia di aggravare, anziché attenuare, il problema. Ma i tagli lineari sono iniqui e mortificano le migliori esperienze. I tagli lineari vanno sostituiti con un lavoro certosino di individuazione delle azioni di miglioramento e di recupero di risorse, possibile solo con il diretto coinvolgimento degli operatori dei diversi settori. Un lavoro puntuale da svolgere non solo a livello nazionale, ma soprattutto a livello locale.
3.6. No a riforme poco chiare e dagli esiti incerti
Nel settore sanitario, ma talvolta anche in quello sociale, si assiste al proliferare a livello locale di proposte di micro o macro riforme, costose e dagli effetti incerti, spesso tese a cambiare l’architettura del sistema senza specifico riferimento alle reali priorità di intervento; riforme annunciate come decisive ma con implicazioni poco chiare ed effetti (nel bene e nel male) valutabili solo nel futuro.
In tempi di crisi, riforme confuse e incerte devono essere evitate, pena l’aumento dell’incertezza e delle difficoltà. Ingenerare aspettative di soluzione radicale dei problemi, attraverso interventi che raramente si dimostrano efficaci, rischia di alimentare comportamenti di attesa, affievolire le spinte all’azione, demotivare gli operatori, cronicizzare i problemi.
Al contrario è necessario fare in modo che le numerose piccole e grandi riforme (o innovazioni), da tempo previste perché ritenute capaci di migliorare il funzionamento del sistema, ma mai realmente applicate a causa delle resistenze poste in essere da varie componenti del settore, vengano effettivamente messe in pratica.
Fare in modo che le innovazioni volte a migliorare l’equità all’accesso, contenere i costi e produrre esiti in termini di salute possano realmente essere adottate: questo l’imperativo dell’Oecd (Making reform happen), che potrebbe guidare l’attuale fase di grande difficoltà25.
3.7. No alle esternalizzazioni selvagge in sanità
L’esperienza insegna che, in sanità, la politica delle esternalizzazioni, spesso necessaria (in presenza di vincoli stringenti sulla dotazione di personale) e per lo più illusoria (quanto a contenimento della spesa), ha di fatto prodotto risultati molto modesti in termini di efficienza (anche in ragione della scarsa capacità delle Aziende sanitarie di sottoscrivere adeguati contratti di fornitura).
La crescente esternalizzazione dei servizi ha inoltre avuto l’effetto di aumentare il precariato all’interno del sistema, anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale, e di indebolire progressivamente il sistema pubblico, in ragione del crescente impiego di personale non strutturato e non appartenente al servizio (mentre la principale risorsa grazie alla quale il sistema sanitario può funzionare è proprio il personale). Per non parlare dell’esposizione alla corruzione e al rischio di penetrazione della criminalità organizzata.
Vanno quindi contenuti tutti quegli interventi (come il blocco indiscriminato del personale) che rischiano di spingere le Aziende sanitarie verso un uso massiccio dell’esternalizzazione, e preservati tutti i servizi strategici (servizi infermieristici, prestazioni specialistiche, etc.).
3.8. No all’affidamento dei servizi sociali
al massimo ribasso
Nell’aggiudicare i servizi di cura, gli enti locali tendono ancora troppo spesso ad attribuire un peso rilevante al fattore prezzo, affidandosi di fatto al criterio del massimo ribasso (data la quantità di ore di assistenza acquistate) anziché al metodo dell’offerta economicamente più conveniente (in grado di valorizzare gli elementi di qualità, organizzazione e professionalità dell’offerta).
Nonostante i tagli di bilancio, gli enti pubblici devono rifiutare la logica del massimo ribasso.  
Nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie, gli enti locali devono procedere all’affidamento dei servizi instaurando con i soggetti selezionati rapporti contrattuali compatibili con il rispetto dei contratti di lavoro (a partire dalla remunerazione oraria) e con il mantenimento di adeguati livelli qualitativi del servizio.  
La qualità del servizio alla persona non è infatti indipendente dalla qualità del rapporto di lavoro instaurato fra l’operatore e l’impresa per la quale presta la propria attività.
3.9. No a tutte le forme di istituzionalizzazione
Il ricovero in strutture residenziali mortifica le capacità residue delle persone fragili, peggiora la qualità della loro vita e comporta costi molto elevati (30-50.000 euro pro capite anno). Il superamento della residenzialità a favore di forme alternative di assistenza sul territorio, attraverso progetti personalizzati e co-progettati, richiede tempi non brevissimi, ma produce risultati significativi, sotto tutti i profili, come dimostrano le esperienze disponibili26.
Il problema dei costi dell’assistenza erogata alle persone ospitate in strutture residenziali è noto agli enti locali, le cui rette (o parte delle stesse) gravano pesantemente sui Comuni, irrigidendo i loro bilanci, rendendo poco praticabili soluzioni alternative e ingenerando disparità di trattamento fra chi è ricoverato e chi è in lista di attesa.
Il problema è particolarmente delicato nei casi di minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, rispetto ai quali deve essere diffusa la pratica della collaborazione fra servizi sociali e tribunale dei minori, al fine di evitare, ogniqualvolta possibile, il ricovero in strutture.
L’obiettivo richiede un intervento in primo luogo organizzativo-culturale.
I risultati, in termini di benessere delle persone e di minori rigidità dei bilanci comunali, sono realizzabili in tempi non brevissimi, ma la strada da percorrere è obbligata, a maggior ragione in una fase di rinnovamento delle politiche sociali. Una prima occasione in tal senso è il previsto rientro presso le comunità di origine delle persone ancora ospiti negli Ospedali psichiatrici giudiziari.
3.10. No al mantenimento delle tante rendite
di posizione
Il sistema sanitario continua a erogare, a causa di precisi interessi di gruppi di pressione, un’ampia gamma di interventi che presentano un rapporto costo-efficacia del tutto insoddisfacente. Si tratta di prestazioni per lo più obsolete, o di sicura inefficacia (o di incerta sicurezza), di efficacia non dimostrata o per le quali esiste un’alternativa più efficace e meno costosa. Il Ssn non può continuare a ignorare tale fenomeno.
È necessario procedere al completo abbandono di tali servizi (previa rigorosa selezione, anche sulla base dell’esperienza internazionale). A tal fine sono cruciali:
• la determinazione del potere politico: qualsiasi iniziativa deve godere del sostegno dei livelli decisionali più elevati della politica che dovrebbe, possibilmente, astenersi dall’interferire sulle singole componenti dell’iniziativa a difesa degli specifici interessi coinvolti;
• il coinvolgimento delle professioni, necessario nella scelta degli interventi e nell’implementazione dell’iniziativa, inquadrando le collaborazioni in una cornice di trasparenza e affrontando in modo esplicito il problema dei conflitti di interesse (individuali e, soprattutto, delle società scientifiche);
• una strategia di comunicazione centrata sulla salute e non sui costi, in grado di far capire a tutti, e in particolare ai cittadini, il possibile guadagno di salute che ne potrebbe derivare.
4. Che cosa si può fare
Stiamo destinando alla sanità più risorse di quanto non sia mai stato fatto nei decenni passati, e abbiamo il dovere di fare in modo che se ne possa trarre il meglio a vantaggio delle persone. Questa è la sfida che tutti i paesi europei stanno affrontando in una fase di grave crisi economica.
Per questo, prima di rivendicare ulteriori risorse, è opportuno verificare come migliorare l’utilizzo di quelle attualmente disponibili.
Di seguito alcuni degli ambiti nei quali è possibile intervenire sin da subito, evitando di rinviare ulteriormente azioni che, sulla base dell’esperienza nazionale e internazionale, sappiamo essere in grado di produrre risultati concreti e in tempi relativamente brevi.
Si tratta di una pluralità di azioni che, proprio in un momento di crisi, possono trovare migliori opportunità di realizzazione, all’interno di un piano capillare di interventi che richiede a tutti uno sforzo supplementare per superare difficoltà e contrapposizioni.
Comprende azioni da tempo tentate ma mai realizzate (per gli ostacoli che si sono frapposti a difesa dello status quo, nonostante i mutati bisogni dei cittadini), azioni di ammodernamento da avviare ex novo ma già ampiamente delineate, azioni di trasferimento (dalle realtà territoriali che già le hanno adottate ad altre realtà in difficoltà, con gli opportuni adattamenti) e azioni di rafforzamento dei percorsi in atto. In breve, si tratta di consolidare ciò che sappiamo essere in grado di migliorare l’assistenza sanitaria (senza necessariamente richiedere maggiori finanziamenti) e di superare ciò che si è dimostrato inadeguato e costoso.
Di seguito sono discusse alcune proposte riferite al settore sanitario.
4.1. Il miglior risparmio possibile: la prevenzione
Nel nostro paese si verificano ancora eventi largamente prevenibili che comportano costi sociali elevati. Basti pensare all’infortunistica (stradale, domestica e lavorativa) o alle conseguenze sanitarie di alcuni stili di vita (eccessi alimentari, insufficiente attività fisica, abuso di sostanze, comportamenti a rischio), che sono all’origine della maggior parte delle malattie croniche che affliggono la nostra popolazione.
La prevenzione di questi fenomeni e la modifica di questi comportamenti potrebbe produrre significativi risparmi di risorse di cura e contribuirebbe a migliorare la qualità della vita. Per favorire la prevenzione occorre adottare una visione positiva della salute. Pensare la salute come uno strumento di benessere, come una risorsa necessaria per godere pienamente della vita e non come un precario equilibrio da mantenere al prezzo di rinunce e privazioni.
Per promuovere la salute, il sistema dei servizi sociosanitari non basta. Occorre ricercare alleanze con altri soggetti e reti sociali che hanno a cuore il benessere comune: in primo luogo il mondo dell’educazione e, più in generale, quello della cultura, quello della comunicazione, della solidarietà e dell’auto-aiuto. Spostare sempre di più l’attenzione dall’erogazione degli interventi e delle singole prestazioni preventive (vaccini, esami diagnostici, etc.) allo sviluppo di vere e proprie politiche di prevenzione capaci di far convergere verso obiettivi di salute gli interessi di produttori, cittadini e istituzioni.
Promuovere la salute e prevenire le malattie possono essere quindi modi molto concreti per salvaguardare il welfare in un momento di crisi economica.
4.2. Radicale riorganizzazione delle cure primarie
Il futuro delle politiche sanitarie è nelle cure primarie, sul cui ammodernamento devono concentrarsi gli sforzi dei decisori e dei professionisti.
Il momento di particolare difficoltà potrebbe contribuire a superare con forza quegli ostacoli che fino ad ora hanno impedito una sostanziale riorganizzazione delle cure primarie, la cui centralità potrebbe rappresentare una opportunità concreta di miglioramento, (quasi) a costo zero per il sistema.
La riorganizzazione potrebbe essere delineata a partire dal progetto già ampiamente definito a livello nazionale, con l’obiettivo di unificare le figure del medico del territorio, superare il lavoro in solitudine dello stesso, sviluppare la sanità di iniziativa, mettere lo specialista al servizio dei percorsi di diagnosi e cura (anche coinvolgendo i professionisti ospedalieri), individuare punti di riferimento sul territorio che affianchino – e sostituiscano quando possibile – la struttura ospedaliera (strutture di comunità, case della salute, etc.), organizzare la medicina di famiglia in forme aggregate in grado di assicurare ampia visibilità e ampio accesso ai servizi territoriali, anche attraverso modalità che garantiscono l’assistenza in maniera integrata tendenzialmente 24 ore al giorno su 7 giorni alla settimana, etc.
La riorganizzazione dovrebbe estendersi anche all’assistenza protesica, prevedendo un aggiornamento del nomenclatore, secondo il lavoro già approvato in Conferenza Stato-Regione, realizzabile sostanzialmente a costo zero per il sistema e con un netto miglioramento della qualità dell’assistenza per i pazienti. Tale riorganizzazione deve essere sostenuta da una revisione delle procedure, in una logica di flessibilità, con responsabilità multiprofessionali.
La riorganizzazione delle cure primarie deve necessariamente coinvolgere anche le università, come centri di formazione e come erogatori di assistenza.
4.3. Più appropriatezza nella diagnostica
I confronti internazionali mettono in evidenza, per l’Italia, una ridondanza del settore della diagnostica in termini sia di dotazione di tecnologie sia di consumo di servizi, compresi quelli ad alto costo (la dotazione di risonanze magnetiche supera dell’80% la media per milione di abitanti dell’Oecd; quella di Tac la supera del 43%). Il fenomeno è in gran parte legato all’inappropriatezza delle prescrizioni, spesso effettuate a fini di mera rassicurazione del paziente e/o del medico, quando non incoraggiate dal mondo della produzione (di tecnologie, di materiale di consumo e di prestazioni).
L’uso improprio di accertamenti diagnostici va affrontato disegnando un sistema di incentivi e di monitoraggio che contrasti la tendenza a promuoverne indiscriminatamente l’impiego e in particolare: a) spinga i professionisti a prescrivere solo gli esami in grado di risolvere veri dubbi diagnostici e al minor costo possibile, b) responsabilizzi i produttori, in particolare i privati accreditati, al rispetto di tetti di spesa e di volumi di erogazione, c) induca i cittadini a non richiedere o a non aderire alla mera prescrizione di accertamenti, grazie ad una migliore informazione sui benefici e sui rischi di diversi accertamenti. Il problema è particolarmente grave in alcune Regioni e nelle aree urbane (dove l’offerta è più ampia e induce una maggiore domanda).
Nonostante la complessità del tema, alcune azioni possono essere sviluppate: fissazione di parametri di riferimento per la spesa nelle singole Regioni (in analogia con quando adottato per la farmaceutica), governo della dotazione di tecnologie ad alto costo (anche attraverso l’utilizzo di parametri sui bacini ottimali di utenza definiti nell’ambito dell’Hta), rigore nell’applicazione dell’accreditamento delle strutture (pubbliche e private), informazione ed educazione sanitaria, linee guida per la revisione dei sistemi tariffari regionali in una logica di incentivo alle prestazioni meno costose a parità di risultato.
4.4. Ridurre gli eccessi nella spesa farmaceutica
Le disparità interregionali nel consumo di farmaci non giustificate da fattori demografici o epidemiologici rinviano a interventi di riqualificazione in gran parte già sperimentati con successo nelle realtà più avanzate e quindi da trasferire previo adattamento. La rilevanza degli interventi rende opportuno un governo sovraregionale (nazionale) dell’impatto e delle resistenze oltre che il coinvolgimento dell’intera filiera del farmaco. Si richiama, fra gli altri:
• assistenza farmaceutica territoriale: adozione, nelle Regioni con spesa pro capite (pesata) superiore alla media nazionale, delle misure già adottate con successo dalle Regioni più virtuose nel governo della spesa per farmaci;
• impiego di farmaci equivalenti (generici): la diffusione dell’impiego di farmaci generici (in Italia circa il 30% della spesa, di gran lunga inferiore ai principali paesi sviluppati), anche con il diretto coinvolgimento dei medici prescrittori, può comportare risparmi di spesa (a parità di assistenza garantita) molto elevati;  
• acquisto e distribuzione da parte del Ssn di farmaci PHT di classe A: l’acquisto attraverso le Asl può comportare un risparmio di spesa intorno al 40% rispetto al prezzo al pubblico; attualmente la spesa PHT ancora presente sul territorio (cioè sostenuta a prezzo pieno, anziché scontato) è pari a oltre 800 milioni di euro (2010);
• monitoraggio nazionale dei farmaci con brevetto in scadenza e accordi con l’industria;
• spesa farmaceutica ospedaliera: fissazione di un tetto credibile per la spesa ospedaliera (ponderata in base al mix pubblico e privato nella produzione di ricoveri) e introduzione di strumento di governo dell’innovazione farmaceutica;
• informatizzazione del sistema di prescrizione dei piani terapeutici e riduzione delle procedure per l’erogazione del farmaco.
4.5. Revisione di alcune agevolazioni fiscali
Le agevolazioni fiscali a favore delle spese sanitarie comportano una rilevante perdita di gettito per l’erario e producono i) effetti redistributivi per lo più a favore dei redditi medio-alti e ii) effetti allocativi a favore del settore privato. Il disegno di legge delega sulla riforma fiscale e assistenziale approvato dal Consiglio dei ministri nel giugno 2011 prevede una riduzione lineare di tutte le agevolazioni (non solo di quelle sanitarie) in caso di mancata efficacia dei provvedimenti previsti dalla manovra. Pare peraltro possibile anticipare la revisione di alcune agevolazioni a favore delle spese sanitarie, allo scopo di eliminare incoerenze e iniquità. Si tratta di provvedimenti puntuali, che possono comportare un aumento, modesto ma certamente non trascurabile, delle entrate fiscali:
• completa abolizione della detraibilità a fini Irpef di tutti i ticket sanitari (l’agevolazione fiscale costituisce una palese contraddizione: da un lato si impone una compartecipazione e dall’altro la si agevola fiscalmente); dal punto di vista dell’equità il provvedimento non avrebbe conseguenze sui redditi più bassi;
• abolizione della detraibilità a fini Irpef della spesa privata per farmaci (i farmaci importanti per la salute sono tutti erogati a carico del Ssn e non esistono ragioni di contrasto all’evasione fiscale che giustifichino le agevolazioni);
• modifica delle agevolazioni fiscali riservate ai fondi integrativi, all’interno della revisione del ruolo dei fondi integrativi, con l’obiettivo di riequilibrare fra rischi sovra-assicurati e rischi sotto-assicurati.
4.6. Nuove risorse per gli investimenti
La carenza di risorse per gli investimenti costituisce un elemento di grande debolezza per il Ssn, con la conseguente elevata spesa per la manutenzione e l’ancor più preoccupante degrado delle strutture e delle apparecchiature. La storia dei fondi in conto capitale è peraltro la somma di esperienze di successo e di colpevoli fallimenti: in passato alcune Regioni hanno lasciato inutilizzati per troppo tempo (e spesso in via definitiva) ingenti risorse, statali e europee, che avrebbero potuto consentire il rinnovo del patrimonio immobiliare o anche solo la sua manutenzione straordinaria.
Attualmente, dopo la drastica riduzione dei fondi (da ultimo con il d.l. 78 del maggio 2010), il sistema necessita di risorse per l’edilizia sanitaria, l’innovazione e l’ammodernamento tecnologico, il cui utilizzo andrebbe condizionato a una programmazione meno lenta e farraginosa del passato. Opportunità e disponibilità finanziarie potrebbero essere recuperate da una pluralità di fonti:
• revisione della normativa allo scopo di destinare prioritariamente i fondi Inail allo sviluppo dei servizi per la tutela della salute (in passato spesso messi a disposizione di enti privati a tassi minimi, mentre il pubblico trovava difficoltà ad accedere al credito);
• verifica della disponibilità di fondi nazionali e/o comunitari, anche seguendo l’esperienza del QSN 2007-2013 (che aveva destinato risorse alle politiche per la salute, purtroppo poi dirottate su altre finalità), del FESR o FAS, da destinare in particolare ai servizi territoriali e alla non autosufficienza (con la logica degli Obiettivi di servizio);
• accordi con le fondazioni bancarie per raccordare i loro interventi con la programmazione regionale (soprattutto per evitare l’aumento della dotazione di tecnologie ad alto costo, ove non necessario);
• revisione normativa della finanza di progetto;
• vendita del patrimonio disponibile delle Aziende sanitarie;
• rifinanziamento del fondo per gli investimenti sanitari di cui alla legge 67/88, assicurando continuità al programma nazionale di investimenti (a partire dai programmi già validati dal Ministero della salute e in attesa di Accordo di programma in Conferenza Stato-Regioni).
Complessivamente potrebbero essere resi disponibili almeno 2 miliardi per il primo anno e altrettanti per ciascuno degli anni del biennio successivo. La loro destinazione andrebbe peraltro definita con rigore in modo da evitare che si riproducano localmente le inefficienze del passato.
4.7. Qualificare i luoghi delle cure
Il Ssn deve essere qualificato non solo sotto il profilo tecnico, ma anche sotto il profilo dell’accoglienza, del comfort e della gradevolezza degli spazi e dei luoghi dove le persone vengono curate.
Superare gli elementi di trascuratezza e degrado, che contraddistinguono spesso i servizi pubblici, risponde all’esigenza di migliorare sia l’accoglienza delle persone, sia le condizioni di lavoro degli operatori e, quindi, la qualità degli interventi.  
Preservare i valori alla base del Ssn significa anche ridare identità e qualità ai luoghi delle cure (e del lavoro); il che è almeno in parte possibile attraverso una pluralità di micro interventi locali a basso costo, prevedendo il coinvolgimenti degli operatori (conoscitori spesso inermi dei fattori di degrado nella propria realtà lavorativa) e degli assistiti (spesso incapaci di percepire la struttura pubblica come una struttura di cui avere cura), nonché attivando risorse disponibili, su base volontaria, a partecipare a programmi locali di riqualificazione delle strutture del proprio territorio. Un forte richiamo all’impegno quotidiano, prima ancora della disponibilità di risorse, può contribuire enormemente al miglioramento dell’immagine e della qualità del servizio.
4.8. Rivedere il sistema dei ticket
L’attuale sistema di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie risente di incoerenze e iniquità con riguardo sia alla modulazione del ticket, sia ai criteri di esenzione27. Il recente super ticket di 10 euro e la previsione di un consistente aumento delle entrate per ticket (2 miliardi dal 2014, l. 111/2011) accrescono le preoccupazioni circa i possibili effetti perversi. Inoltre, la prevista introduzione dell’Isee per i benefici assistenziali (l. 22-12- 2011 n. 214) rende necessario un ripensamento complessivo sul sistema della compartecipazione e delle esenzioni.
La revisione dovrebbe in ogni caso evitare un aumento consistente degli oneri a carico degli assistiti, soprattutto di coloro che sono affetti da patologie che richiedono un frequente ricorso alle prestazioni sanitarie. Particolare attenzione va riservata al rischio di favorire l’opting out da parte dei più abbienti qualora il ticket diventasse troppo elevato.
4.9. Ridefinire le relazioni fra i professionisti
Un welfare che si adegua ai cambiamenti della società e che rinnova la propria attività non può lasciare immutata l’organizzazione del lavoro, le competenze e le relazioni tra professionisti.
La riorganizzazione dei servizi ha bisogno di una riorganizzazione del lavoro e di una nuova ripartizione dei compiti, in particolare:
• nell’organizzazione del personale e del mix di figure;
• nelle competenze attribuite ai diversi profili professionali;
• nei sistemi di relazione fra le professioni;
• nei rapporti con la medicina delle cure primarie.
Specifica attenzione dovrebbe essere riservata al mondo delle professioni sanitarie, spesso ancora sottovalutate e sottoutilizzate, nonostante siano riconosciute come quelle più vicine ai pazienti. Valga per tutti un esempio. Il tempo dedicato dagli infermieri ad attività assistenziali direttamente a favore dei pazienti è solo una parte del totale (in Canada si stima che non superi il 30%, percentuale che può essere tranquillamente ipotizzata non distante dalla realtà anche in Italia 28); troppo tempo è destinato ad attività burocratico-amministrative (spesso superabili con una migliore informatizzazione delle procedure), ad azioni faticose e lunghe (che potrebbero essere svolte rapidamente con piccole migliorie nei presidi, a beneficio della salute dei pazienti e del personale: letti tecnici, elevatori meccanici, etc.), a supplire alla disorganizzazione delle strutture (trasporto referti, consegna richiesta farmaci, trasferimento pazienti, etc.). L’attuale crisi economica impone il superamento delle tante inerzie e dei numerosi ostacoli che fino ad oggi hanno rinviato una riorganizzazione dell’organizzazione del lavoro, in particolare delle professioni sanitarie, all’interno del settore sanitario.
4.10. Rafforzare i Piani di rientro
Le Regioni con consistenti disavanzi sanitari non sono in grado, da sole, di superare le loro storiche debolezze.
Il livello centrale deve sostenere e accompagnare i percorsi di riqualificazione dell’offerta sanitaria, intervenendo non soltanto sul rispetto dei vincoli di bilancio ma soprattutto sulle capacità programmatorie e di governo dell’offerta.
I Piani di rientro si sono mostrati, ad oggi, un importante strumento per l’avvio di percorsi di risanamento dei disavanzi sanitari. Lo strumento va rafforzato anche prevedendo tempistiche più credibili, attenzione alla reale riorganizzazione dell’offerta, attuazione di meccanismi premiali e sanzionatori, responsabilizzazione delle comunità regionali, etc.29.
Più in generale, i Piani di rientro e di riqualificazione dell’assistenza sanitaria costituiscono un concreto esempio di come sia possibile avviare un percorso di riqualificazione della spesa nel settore sanitario senza modificare i confini dell’intervento pubblico, ma puntando sul sostegno delle capacità programmatorie e regolatorie delle Regioni meno attrezzate.
4.11. Ripristinare il fondo per la non autosufficienza
L’azzeramento del Fondo nazionale per la non autosufficienza (pari a 400 milioni nel 2010 e a zero nel 2012) costituisce un grave pregiudizio per il benessere delle persone e non rappresenta un vero risparmio per il bilancio pubblico. La riduzione degli interventi rischia infatti di spingere le persone non autosufficienti a chiedere assistenza negli ospedali e nelle strutture sanitarie, scaricando sulla sanità pubblica oneri consistenti che potrebbero essere evitati con l’assistenza domiciliare, semiresidenziale e residenziale sociosanitaria.
Uno dei paesi più vecchi del mondo non può non avere una politica nazionale per la non autosufficienza. Gli interventi vanno sicuramente riqualificati, nell’ottica della promozione della vita indipendente, della personalizzazione dei piani assistenziali e della loro progettazione con l’assistito e i suoi familiari, ma non possono essere lasciati alla discrezionalità degli enti locali, i cui bilanci sono in forte sofferenza.
Le risorse statali destinate, fino al 2010, alla non autosufficienza sono modeste: il loro ripristino pare quindi non impossibile.
Ma è anche tempo di procedere unificando le risorse disperse in troppo rivoli tra sanità, prestazioni di assistenza sociale e trasferimenti monetari, prevedendone una programmazione e una gestione unitaria e integrata.
Oltre al fondo per la non autosufficienza, è necessario procedere al finanziamento delle politiche sociali, ridisegnando un percorso di graduale sviluppo degli interventi, sia di quelli ancora realizzati dal livello centrale sia di quelli adottati dai livelli locali.
4.12. Dove recuperare ulteriori risorse?
Molte sono le risorse che potrebbero essere recuperate e destinate alle politiche sociali e sociosanitarie. In alcuni casi, la mancanza di chiarezza sul loro reale utilizzo alimenta dubbi sulle priorità adottate dal decisore nazionale e giustifica la richiesta di finalizzazione a favore del welfare. Di seguito, solo qualche esempio.
• Dove vanno a finire i capitali (liquidi) sequestrati e confiscati alla mafia? qual è la loro destinazione una volta acquisiti dallo Stato? Sono destinati ad usi sociali o sono utilizzati per le più varie esigenze della pubblica amministrazione?
• Dove vanno a finire i fondi dell’8 per mille sottratti alle finalità di legge? Perché nell’ultimo decennio circa mezzo miliardi di euro è stato utilizzato per finanziare una molteplicità di spese diverse da quelle previste dalla legge e quasi mai di carattere straordinario e imprevedibile (missione militare in Iraq, Fondo di previdenza del personale di volo, edilizia penitenziaria, etc.)?
• Quali sono i ricavi derivanti dalla vendita delle frequenze? È possibile recuperare i 55 milioni sottratti nel 2011 al Fondo per le politiche sociali per coprire eventuali minori entrate derivanti dalla cessione delle frequenze per i servizi di comunicazione a banda larga?
• Come recuperare, destinandoli concretamente ad azioni di riorganizzazione dei servizi sul territorio, i fondi bloccati a livello centrale, spettanti alle Regioni ma congelati per inadempienze?
4.13. Accelerare ammodernamento e diffusione degli strumenti informatici
In sanità, l’informatizzazione è stata spesso realizzata a costi elevati, con tempi eccessivi e risultati parziali. Un’oculata accelerazione/revisione dei processi avviati può comportare recupero di risorse di personale (soprattutto fra le professioni sanitarie), semplificazione dell’accesso ai servizi, trasparenza delle procedure e soprattutto delle liste di attesa, migliore gestione delle informazioni, sostenibilità ambientale (risparmio carta), risparmio da diffusione dell’open source, etc.
La revisione del processi richiede una precisa finalizzazione (l’informatizzazione non deve essere l’obiettivo, ma lo strumento della riqualificazione dei servizi), e in linea di massima non dovrebbe comportare alcun aumento dei costi.
4.14. La cultura della valutazione è vitale
per il futuro del welfare
Il governo di un sistema sobrio e orientato all’appropriatezza ha bisogno di strumenti per favorire la partecipazione, dei professionisti e dei destinatari degli interventi, alla scelta delle priorità e per verificare in modo continuativo e trasparente se i risultati sono quelli desiderati.
Si riscontra nella rete dei servizi sociosanitari ancora una notevole resistenza all’impiego diffuso di sistemi di valutazione e una certa arretratezza nell’aderire a una cultura del render conto, irrinunciabile per la corretta gestione dei beni comuni. Occorre sostituire la diffidenza che genera una valutazione utilizzata in modo essenzialmente passivo e con intenti soprattutto giudicanti o sanzionatori, con la promozione della valutazione come occasione di condivisione e di miglioramento dei servizi.
Valutare vuol dire “attribuire valore” a ciò che si fa e ai risultati che si ottengono. Valutare è una componente essenziale del ciclo della programmazione e la programmazione è vitale per il futuro del nostro sistema di welfare.
Valutare significa stabilire ex ante gli obiettivi dell’attività dei servizi ipotizzando quali saranno i risultati attesi. Valutare comporta ex post la verifica di questi risultati e l’identificazione dei correttivi necessari per migliorare la performance.
Un tale percorso non ha bisogno solo di dati statistici e indicatori ma richiede, prima di tutto, una riflessione sui valori che la nostra comunità attribuisce ai problemi oggetto di intervento. Tale percorso non può essere delegato ai manager ma deve avvenire in modo trasparente, con forme comprensibili a tutti i soggetti portatori di interessi, utilizzando non solo le informazioni tecniche prodotte dai servizi ma anche le opinioni e le percezioni degli utilizzatori e degli ‘abitanti’ del sistema 30.

Note

1Il presente contributo è frutto di una serie di conversazioni e incontri, promossi dal Gruppo Abele, cui hanno partecipato in luoghi e tempi diversi, fra gli altri, Eleonora Artesio, Anna Banchero, Lucia Bianco, Giovanni Bissoni, Massimo Campedelli, Stefano Cecconi, Vittorio Demicheli, Franco Floris, Gino Gumirato, Cecilia Marchisio, Maria A. Schirru, Annalisa Silvestro, Serafino Zucchelli. Ad essi va un sincero ringraziamento. La responsabilità dei contenuti del lavoro è comunque solo dell’autore.
Una versione preliminare del presente documento è stata presentata a Roma alla Conferenza Nazionale “Cresce il welfare, cresce l’Italia” nel marzo 2012. Una versione parziale è stata pubblicata sulla rivista Animazione sociale del febbraio 2012.
La versione attuale è stata chiusa nell’aprile 2012.
2Caruso E e Dirindin N (2010), Temi di salute e politiche sociali: responsabilità nazionali e locali nella questione meridionale, La rivista delle politiche sociali, 3: 123- 142.
3Giampaolino L (2011), Misure e stime della corruzione: una sfida (im)possibile?, Relazione tenuta presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Roma.
4Dirindin N (2010), Riflessioni sintetiche sul Servizio sanitario nazionale, Audizione Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica, 5 maggio 2010.
5Si vedano, fra gli altri, Audit commission (2011), Reducing spending on low clinical value treatments, Health briefing, April, London, www.audit-commission.gov.uk; Krugman P e Wells R (2006), The health care crisis and what to do about it, The New York Review of Books, vol. 53, n. 5, 23 March; McKee M e Healy J (a cura di) (2002), Hospitals in a changing Europe, European observatory on health care systems series, Who; Public health commissioning network (2010), Right care: a series of papers for the NHS: 4. Doing the right things for patients, London.
6Oecd health data 2011, How does Italy compare, www. oecd.org/italy.
7Istat 2008, Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari, Roma.
8Lafortune G, Balestat G e the Disability study expert group members (2007), Trends in severe disability among elderly people: assessing the evidence in 12 Oecd countries and the future implications, Oecd Health Working Papers, n. 26.
9World health organization (2009), Global health risks: mortality and burden of disease attributable to selected major risks, Geneva.
10Oecd (2011), Health at a glance, Oecd, Paris.
11Gay JG, Paris V, Devaux M, de Looper M (2011), Mortality amenable to health care in 31 Oecd countries, Oecd Health Working Papers, n. 55.
12Oecd 2009, Society at a glance 2009: Oecd social indicators, Paris.
13Economist intelligence unit (2010), The quality of death. Ranking end-of-life care across the world, www.eiu.com/ &sponsor/lienfoundation/qualityofdeath.
14Oecd health data (2011), How does Italy compare, www. oecd.org/italy.
15Ministero dell’Economia e delle Finanze (2010), Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica nel 2010, Roma, www.mef.gov.it.
16Oecd 2010, Health care systems: getting more value for money, Oecd Economics department policy notes, no. 2.
17Joumard I, André C, Nicq C (2010), Health care systems: efficiency and institutions, Oecd Economics department working papers, no. 769.
18Oecd 2011, Doing better for families, Oecd, Paris, http//dx.doi.org/10.1787/9789264098732-en.
19Oecd (2010), Babies and bosses. Policies towards reconciling work and family life, Paris, www.oecd.org/els/social/family.
20Dirindin N (2011), Un ticket che porta alla sanità privata, www.lavoce.info, 19.07.2011.
21Dirindin N e Maciocco G (2012), Assalto all’universalismo, www.saluteinternazionale.it.
22Per una sintetica analisi dei livelli essenziali di assistenza si veda Taroni F (2011), Tempi moderni, Politiche sanitarie, 12 (2): 56 -67.
23Dirindin N (2011), Osservazioni sul disegno di legge C. 4566 Delega al governo per la riforma fiscale e assistenziale, Audizione presso le Commissioni riunite Finanze e affari sociali, Camera dei deputati. Vecchiato T (2011), Audizione nell’ambito dell’esame del disegno di legge C. 4566, recante “Delega al Governo per la riforma fiscale ed assistenziale”, Audizione presso le Commissioni riunite Finanze e affari sociali, Camera dei Deputati.
24Ranci Ortigosa E (a cura di) (2011), Disegnamo il welfare di domani. Una proposta di riforma dell’assistenza attuale e fattibile, Prospettive sociali e sanitarie, anno XLI, n. 20-22.
25Oecd (2010), Making reform happen. Lessons from Oecd countries. Paris. Si veda anche la sintesi in italiano Promuovere la riforma, priorità strutturali in tempi di crisi, www.oecd.org/ dataoecd/12/14/46376215.pdf.
26Si veda, fra gli altri, Rivoiro C, Galeotti F e Vanacore N (2011), Qual è l’effetto dei programmi di gestione integrata nel ritardare l’istituzionalizzazione delle persone affette da demenza? I risultati di una revisione sistematica della letteratura, Politiche sanitarie, 12 (3): 116-125.
27Rebba V, Muraro G, Dirindin N (2011), I ticket nel Servizio sanitario nazionale: alcune riflessioni per un dibattito, Politiche sanitarie, 12 (3): 95-100.
28Association des infirmières et infirmiers du Canada (2009), Les infirmières proposent des solutions pour des soins de santé rentables, Fiche d’information, can-aiic.ca
29Caruso E e Dirindin N (2011), Sanità: un decennio di contraddizioni e prove tecniche di stabilità, in Guerra MC e Zanardi A (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2010, Il Mulino, Bologna.
30Nuti S (a cura di) (2008), La valutazione della performance in sanità, Bologna, Il Mulino.