Salute e prevenzione nel mondo del lavoro
Silvia Bertocco*
Diritto del Lavoro, Scuola di Giurisprudenza, Università di Padova

Riassunto. La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro si realizza solo attraverso una radicata cultura prevenzionistica e una collaborazione di tutti i soggetti che operano nel mondo produttivo. Lo Stato deve costruire un sistema legale che fissa il proprio fulcro sulla tutela della persona-lavoratore in chiave prevenzionistica e il datore di lavoro deve garantire i lavoratori attraverso l’adozione di un modello dinamico di gestione aziendale secondo il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile.
La Commissione europea nel “Quadro strategico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro 2014-2020” presentato alle istituzioni comunitarie, pur sottolineando la correttezza delle politiche adottate dagli Stati membri, individua nuove sfide ed obiettivi per il costante miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori.
Parole chiave. Collaborazione, prevenzione, responsabilità del datore di lavoro, tutela del lavoratore.

Abstract. Health and safety protection at work is based on the culture of risk prevention and on the collaboration of each stakeholder of the economic world: on one hand, the State legal system, based on the protection of the individual, must focus on the achievement of its most important rules; on the other hand the employer must ensure the right to work, without health or safety risks in the workplace, by adopting a dynamic model of business management always in line with the “best practice technology” principle.
The new “Strategic framework on health and safety at work 2014-2020”, presented by the European commission, highlights the value of national health and safety policies adopted by the member States, but it mostly identifies new key challenges and strategic objectives to continuously upgrade people’s working conditions in Eu.
Key words. Employer liability, participation, prevention, worker protection.
1. Premessa
Il diritto del lavoro moderno ha spostato il focus del proprio interesse dalla tutela dei diritti del lavoratore nel rapporto di lavoro alla tutela della personalità del lavoratore, e ai diritti ad essa connessi. Il nucleo originario di tali diritti si rinviene nella garanzia dell’incolumità fisica e dell’integrità morale del prestatore di lavoro. Di conseguenza non stupisce come la materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro assurga a quadro di riferimento per tutta la recente normativa giuslavoristica.
Questo obiettivo di politica legislativa risulta certamente influenzato dal processo di comunitarizzazione della legislazione sociale di ciascuno Stato: il lavoratore non deve essere più considerato solo quale soggetto che mette a disposizione del datore di lavoro le proprie energie, ma egli, innanzitutto, deve avere la certezza di poter eseguire la prestazione senza alcun pericolo per la propria integrità, sia fisica che psicologica.
Infatti, la normativa antinfortunistica nazionale fissa il proprio fulcro nella persona-lavoratore con l’ambizioso obiettivo di rendere effettiva la tutela della salute fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro invocata dagli artt. 32 cost. e 2087 c.c. A tal fine, nel modello costituzionale italiano la sicurezza del lavoratore individua il limite al libero esercizio dell’attività d’impresa e, parimenti, identifica il criterio teleologico per incardinare sul datore di lavoro la posizione di garanzia connessa all’obbligo di sicurezza (art. 41 cost). Il dovere, facente capo al datore di lavoro, di garantire a ciascun lavoratore un posto di lavoro sicuro è applicazione della norma generale dell’art. 2087 c.c., la quale si impone indipendentemente da specifiche previsioni contrattuali quale espressione della tutela di un bene indisponibile (la salute), avente dimensione sociale e valenza ultraindividuale. Da un lato, dunque, il luogo di lavoro diviene l’occasione per il lavoratore di partecipare attivamente alla crescita dell’organizzazione produttiva (ed indirettamente anche dello Stato), e dall’altro esso rappresenta uno dei momenti ove ciascun lavoratore esprime la propria personalità.
In questa particolare ottica, pur nell’economia del presente lavoro, saranno descritti i principi cardine del nostro corpus normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in grado di fornire gli strumenti più adeguati e corretti per rendere effettivo un sillogismo tanto semplice nella sua enunciazione, quanto difficile nella sua concreta attuazione: l’effettività della tutela della salute nel mondo del lavoro si realizza solo attraverso un modello normativo fortemente caratterizzato da strumenti prevenzionistici, che impediscono la realizzazione del pregiudizio al bene, piuttosto che da rimedi indennitari, che intervengono a danno avvenuto.
2. Il modello prevenzionistico italiano: prevenzione oggettiva e soggettiva
La legislazione italiana in questa materia è frutto di una copiosa produzione normativa che, muovendo dal Codice civile, solo a partire da metà degli anni novanta ha trovato una sua ‘definitiva’1 riorganizzazione e sistematizzazione. Il primo provvedimento a carattere sistematico fu il d.lgs. 626/1994, il quale, necessitato dall’obbligo di recepimento della direttiva comunitaria Cee 89/391, ha introdotto un modello normativo fortemente ispirato al binomio salute/prevenzione. Tale intervento ha avuto il merito di dare inizio all’opera di razionalizzazione dell’abbondante normativa speciale degli anni cinquanta2, riconducendo ad una tendenziale unitarietà la frammentaria legislazione. Infatti, il d.lgs. 626/1994, da un lato, ha stabilito con chiarezza i principi cardine del sistema prevenzionistico italiano, sino ad allora sparsi nelle diverse fonti normative dell’ordinamento;  dall’altro, ha previsto che le norme generali contenute nel titolo primo avessero applicazione generale per tutti i settori produttivi e per tutte le categorie di datori di lavoro.
A partire dagli anni novanta, dunque, la legislazione in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro si compone essenzialmente in un sistema normativo che trova origine nell’art. 2087 c.c., quale norma a precetto generico che fissa la posizione di garanzia del bene salute in capo al datore di lavoro, e di una normativa speciale3, applicabile a tutti i settori produttivi, che stabilisce i principi per garantire l’effettività della tutela, individuando il contenuto dell’obbligazione datoriale.
Tale modello, pur essendo rimasto immutato nella sua struttura essenziale anche dopo l’emanazione del d.lgs. 81/20084, è spesso soggetto a modifiche ed integrazioni, alla costante ricerca del ‘giusto’ contemperamento tra responsabilità del datore di lavoro e effettività della tutela del bene.
Sotto il profilo ermeneutico le fonti normative sono espressione di una serie di importanti principi che trovano nel binomio salute/prevenzione (sopra ricordato) il loro comune denominatore.
Questo traguardo, che la Comunità europea ha imposto agli Stati membri attraverso la direttiva Cee 89/391, invero nel nostro ordinamento era già contemplato dall’art. 2087 c.c. ove si richiede al datore di lavoro di garantire l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore attraverso l’adozione di tutte le “misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie”. Come si evince chiaramente, la norma individua il contenuto del dovere di sicurezza attraverso criteri elastici che impongono il continuo aggiornamento dell’organizzazione produttiva, dei mezzi di produzione e delle misure necessarie secondo una tutela della salute in chiave prevenzionistica.
Parimenti le norme generali del Testo unico sono fortemente permeate dalla ratio prevenzionistica, essenzialmente caratterizzata da tre profili: una concezione globale del benessere sul luogo di lavoro, il consolidamento di una cultura della sicurezza aziendale realizzata attraverso la partecipazione e la collaborazione di tutti i lavoratori, e l’effettività della tutela.
Emblematico in tal senso è l’art. 25, d.lgs. 81/ 2008, il quale fornisce una definizione di prevenzione incentrata sul principio dell’adeguamento del lavoro all’uomo6. Obiettivo, quest’ultimo, che connota l’obbligazione di sicurezza del datore di lavoro e che egli deve realizzare attraverso una prima fase di analisi dei rischi, da cui discende poi il dovere di pianificazione delle misure tecnico-organizzative e, infine, l’obbligo di controllare la corretta attuazione di quanto programmato.
La prevenzione intesa come il “complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno” implica, altresì, una duplice dimensione di intervento. Da un lato l’ordinamento richiede un approccio oggettivo, e quindi un intervento finalizzato ad individuare e colpire direttamente le possibili fonti di pericolo, andando ad eliminare o ridurre al minimo i rischi di infortunio sul lavoro o malattia professionale, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnologico. Il profilo oggettivo deve, poi, essere completato tenendo in considerazione anche il rapporto tra lavoratore, ambiente di lavoro e fattori di rischio, in un’ottica di prevenzione soggettiva che trova il suo punto di maggiore forza nel coinvolgimento e nella responsabilizzazione dei destinatari delle norme di sicurezza.
Inoltre, la definizione di prevenzione contenuta nel Testo unico richiama il precetto dell’art. 2087 c.c. quasi a testimoniare la volontà del legislatore di realizzare un sistema normativo circolare, che impone al datore di lavoro una continua analisi dei rischi e adeguamento delle misure in relazione ai mutamenti dell’organizzazione, alla nascita di nuovi rischi e al progresso tecnologico. Infatti, nell’art. 2087 c.c. l’adempimento dell’obbligazione non viene circoscritto alla mera osservanza delle precauzioni prescritte da disposizioni legislative o regolamentari e a quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche a tutte le altre misure che in concreto si rendono necessarie per la tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica, avendo riguardo allo specifico lavoro svolto, alle condizioni di tempo e di luogo, nonché alle tipologie di lavoratori addetti all’attività.
In questa prospettiva si giustifica l’estensione della responsabilità del datore di lavoro oltre la semplice attuazione di misure tipizzate da una norma, sino a giungere all’obbligo di garantire la massima sicurezza tecnologicamente fattibile, cioè l’applicazione di ogni misura in concreto necessaria in relazione ad una determinata organizzazione di lavoro7.
I concetti di ‘particolarità del lavoro’, ‘esperienza’ e ‘tecnica’ sono dunque i criteri di riferimento per determinare in concreto il contenuto (non positivizzato in una norma) dell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro e i confini della sua responsabilità.
Nello specifico la particolarità del lavoro si riferisce a tutti quegli elementi che caratterizzano una determinata attività lavorativa, concorrendo a costituirne la pericolosità specifica. Si tratta, dunque, di un concetto che allude alla pericolosità derivante dalla tipologia di ambiente lavorativo, di impianti, di macchine, di attrezzature e di sostanze.
Il secondo parametro, cioè l’esperienza, deve essere valutato non solo sul piano soggettivo del datore di lavoro, quanto piuttosto sul piano oggettivo di ciò che è stato sperimentato in quello specifico settore. Infine, per quanto riguarda la tecnica, essa impone chiaramente il costante aggiornamento delle misure di prevenzione al progresso tecnologico in relazione ai macchinari, agli impianti, ai sistemi di lavorazione, nonché agli interi processi produttivi.
Il sistema di tutela che emerge mira a definire l’obbligazione di garanzia in chiave prevenzionistica imponendo al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure idonee a prevenire tutti i rischi configurabili all’interno dell’impresa, secondo il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile e avendo riguardo alla diligenza commisurata ai parametri dell’art. 2087 c.c.
In estrema sintesi il concetto di prevenzione espresso nel Codice civile, e poi ribadito dall’Unione europea, si attua attraverso un programma dinamico che origina dall’obiettivo principale di “evitare i rischi”, e qualora ciò non sia possibile il datore deve “valutare i rischi” non eliminabili per cercare di “combatterli alla fonte”, tenendo conto del “grado di evoluzione della tecnica” e “adeguando il lavoro all’uomo”, senza alcuno spazio per criteri di fattibilità economica 8.
Da quanto sin qui osservato risulta, pertanto, di tutta evidenza la continuità e la coerenza tra la norma comunitaria, quella codicistica e la legislazione speciale oggi contenuta nel Testo unico.
In particolare l’art. 15 del Testo unico determina il contenuto dell’obbligazione di prevenzione a carico del datore, declinando il concetto di prevenzione (di cui all’art. 2 Testo unico) in azienda secondo i criteri sopra citati.
Esso descrive l’obbligazione di sicurezza del datore di lavoro riferendosi al complesso delle disposizioni e misure necessarie per evitare o diminuire i rischi nei luoghi di lavoro nella prospettiva di un continuo miglioramento delle condizioni di lavoro per garantire ai lavoratori uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.
Nel testo dell’articolo l’obbligazione di sicurezza (in parallelo con quanto previsto nella nozione di prevenzione) viene scomposta in due profili, uno oggettivo e l’altro soggettivo. A tal fine da un lato vengono indicate le misure di prevenzione oggettiva riferite innanzitutto all’obbligo di valutazione dei rischi, cui segue la programmazione delle misure tecnico-organizzative per giungere ad una responsabile gestione del rischio.
Sotto il profilo soggettivo la norma impone il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione. A completare l’aspetto soggettivo della prevenzione vi sono gli obblighi di formazione ed informazione dei lavoratori, nonché il necessario coinvolgimento dei lavoratori nella gestione della sicurezza in azienda, sia attraverso il dovere di questi ultimi di informare tempestivamente il datore di lavoro di qualsiasi eventuale condizione di pericolo o difetto dei macchinari, attrezzature, dispositivi in uso, sia attraverso l’obbligatoria consultazione dei rappresentanti dei lavoratori in tutte le decisioni aziendali che attengono alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
3. Profili critici e andamento infortunistico in Italia
Da quanto brevemente tracciato, il nostro sistema normativo in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro risulta costituito da un imponente e dettagliato corpus di norme che ruota attorno al principio cardine rappresentato dal concetto di prevenzione. La legge stabilisce i principi giuridici, definisce la posizione di garanzia, descrive il contenuto dell’obbligazione e individua i confini della responsabilità. Sotto il profilo tecnico-giuridico, pertanto, il legislatore ha cercato di costruire un sistema normativo in grado di garantire ai propri cittadini le condizioni giuridiche a tutela della salute e sicurezza.
Tuttavia l’esistenza di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, se da un lato testimonia che il sistema pur coerente con l’obiettivo di tutela è certamente ancora perfettibile soprattutto in termini di chiarezza delle norme, dall’altro impone una riflessione che travalica gli schemi giuridici. Innanzitutto bisogna tenere in considerazione che il mondo economico-produttivo, per sua natura, esprime rischi fisiologici ineliminabili (rischi che, per contro, devono essere gestiti diligentemente dai datori di lavoro); in secondo luogo esiste un patologico difetto di effettività di ogni sistema normativo dovuto alla violazione degli obblighi da parte dei soggetti obbligati (in questo settore dell’ordinamento il riferimento è al datore di lavoro e anche, sebbene in misura molto ridotta, ai lavoratori).
Ma ciò che forse maggiormente crea un deficit di effettività è la mancanza di una consapevole cultura della sicurezza di tutti i soggetti coinvolti. Troppo spesso ancora oggi il datore di lavoro considera la tutela della salute dei propri lavoratori come una mera imposizione giuridica che determina solo costi aggiuntivi e non vantaggi né economici, né tanto meno di fidelizzazione dei lavoratori. Non migliore sembra essere l’approccio da parte dei lavoratori, che spesso non solo non pretendono il rispetto degli obblighi di sicurezza da parte del datore di lavoro, ma neppure collaborano per la realizzazione di un’organizzazione aziendale connotata da elevati standard di sicurezza. Da ciò emerge chiaramente che i lavoratori non hanno sviluppato una vera e propria cultura della sicurezza né in relazione ai propri diritti né in relazione ai propri obblighi 9.
A fronte di quanto sino ad ora osservato pare doveroso, per contro, sottolineare che il nostro sistema giuridico sta dimostrando i primi positivi frutti. Timidi e difficoltosi risultati si riscontrano sul versante della formazione dei lavoratori, anche più giovani; così come con prudente ottimismo deve essere accolto il continuo decrescere dell’andamento infortunistico nazionale che vede il nostro paese in grado di sostenere il confronto con i nostri partner europei.
Infatti l’Inail ha pubblicato quanto diffuso da Eurostat in merito ai dati infortunistici europei per il 2011. I dati 2011, relativi ai tassi standardizzati di incidenza infortunistica, indicano per l’Italia un  valore pari a 2092 infortuni (denunciati) per 100.000 occupati, registrando una riduzione dell’11,4% rispetto al 2008, ma soprattutto collocando il nostro paese ben al di sotto del dato rilevato per Spagna, Francia e Germania. La media stimata per l’Europa di 27 paesi è pari a 1820 10.
Nello specifico della nostra realtà nazionale nel quadriennio 2008-2012 (ultima relazione annuale pubblicata dall’Inail nel luglio 2013 e ultimi dati pubblicati nel Casellario Inail)11 il trend infortunistico ha continuato a calare con una diminuzione complessiva del 23% rispetto al 2008. Il numero di infortuni sul lavoro riconosciuti dall’Inail nel 2012 è stato di 496.079 (11% in meno rispetto all’anno precedente), mentre per quanto riguarda gli infortuni mortali riconosciuti dall’Istituto il dato accertato è di 790, con un decremento pari all’8,78% rispetto all’anno precedente, e del 27% rispetto al 2008.
I dati segnalano, dunque, la persistenza di un andamento decrescente degli infortuni e dimostrano che i settori dell’edilizia e dell’agricoltura sono quelli dove maggiormente la cultura della prevenzione e della sicurezza stenta a diventare parte integrante dell’organizzazione aziendale. Per quanto riguarda le malattie, il dato è parzialmente diverso: sono in aumento le tipologie di malattie professionali ma fortunatamente il numero delle morti è in netto calo (27% in meno rispetto al 2008, ma purtroppo il numero non è confortante 1583) 12.
Tuttavia, per completezza di indagine, non si può non rilevare che nell’ultimo periodo di riferimento (2012) il forte decremento degli infortuni deve essere forse un poco mitigato a fronte della pesante crisi economica che ha portato alla chiusura di molte attività produttive.
4. Conclusioni
Si è cercato in breve di tratteggiare i profili giuridici che disciplinano la materia nel nostro ordinamento e di verificare attraverso l’andamento infortunistico i risultati raggiunti. Parzialmente confortanti per quanto riguarda la struttura e i principi giuridici che governano il nostro sistema normativo; ancora bisognosi di grande impegno in termini di effettività e di creazione di una consapevole cultura della sicurezza in azienda.
Il confronto a livello europeo apre sempre nuovi e stimolanti scenari di riflessione come ci dimostra il “Quadro strategico dell’Ue in materia di salute e sicurezza sul lavoro” proposto dalla Commissione europea per il 2014-2020”13. Benché la strategia per la salute e sicurezza sul lavoro adottata a livello europeo per il quinquennio 2007-2012 abbia contribuito a ridurre del 27,9% il numero degli infortuni che hanno causato un’assenza dal posto di lavoro superiore a tre giorni, l’Ue è consapevole che non si può arrestare l’impegno né tantomeno sottovalutare le nuove fonti di possibile pericolo derivanti dalla continua dinamicità dei mercati e dei sistemi produttivi, nonché dal mutamento del tessuto demografico.
Nel Piano strategico si legge che il fenomeno infortunistico da contrastare si attesta annualmente a livello europeo in tre milioni di incidenti gravi, quattromila dei quali mortali.
A fronte di questo dato tre sono i piani di intervento programmati dall’Unione: il miglioramento delle norme esistenti, la prevenzione dei rischi nuovi ed emergenti (legati alle nuove tecnologie, ai nuovi processi produttivi, alle diverse tipologie di lavoratori, etc) e il cambiamento demografico legato all’invecchiamento della forza lavoro, alle categorie svantaggiate e all’immigrazione di lavoratori provenienti da paesi con cultura, scolarizzazione e lingua assolutamente diversi. È opportuno ricordare che, in relazione al sempre maggior numero di lavoratori di madrelingua straniera 14 e la conseguente difficoltà di intendere istruzioni e informazioni basate su di un testo scritto, la comunità internazionale ha emanato nel 2010 un Codice universale (norma Iso 7010) che contiene una raccolta di simboli per la sicurezza, comprensibili indipendentemente da lingua, cultura ed esperienza professionale. In Italia tale disciplina è stata recepita nel Testo unico (allegato XXIV) nel 2012 e da ultimo aggiornata a marzo 2014 con la pubblicazione della norma Uni En Iso 7010: 2014. Il Codice utilizza il metodo geometrico/cromatico per descrivere i segnali di sicurezza da utilizzare in azienda 15; purtroppo però tale segnaletica, non avendo sostituito ma solo integrato quella già presente nel Testo unico, non risulta obbligatoria ma ad applicazione volontaria.
Per dare attuazione alle tre direttive di intervento, l’Ue ha individuato sette obiettivi, a partire da un ulteriore consolidamento delle strategie nazionali, con la creazione di una banca dati in collaborazione con l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (Eu-Osha) e da un sostegno concreto alle imprese (soprattutto medio-piccole) attraverso strumenti sia finanziari sia tecnologici (ad esempio, la piattaforma web Oira per la valutazione interattiva dei rischi). È necessario, inoltre, migliorare la modalità di raccolta dei dati statistici e la qualità dei dati (innanzitutto in termini di omogeneizzazioni dei dati raccolti ed analizzati), rafforzare il coordinamento con le organizzazioni internazionali che si occupano di salute e lavoro (Oil, Oms, Ocse), semplificare e migliorare l’applicazione della legislazione esistente, valutando anche l’efficienza degli ispettorati del lavoro nazionali e l’efficacia delle sanzioni, e promuovere iniziative per affrontare l’invecchiamento della forza lavoro e i nuovi rischi emergenti.
Gli strumenti che l’Ue intende implementare per garantire sempre migliori condizioni di lavoro riguardano diversi ambiti.
Il primo strumento attiene al piano legislativo sia attraverso norme definite convenzionalmente di hard law, cioè disposizioni legislative dotate di efficacia vincolante per gli Stati che mirano ad individuare uguali livelli di protezione tra i lavoratori all’interno del mercato europeo, e parimenti forme di semplificazione amministrativa e sostegno economico alle imprese; sia attraverso strumenti di soft law, cioè codici di buone pratiche e prassi convenzionali. In secondo luogo l’Ue incoraggia gli Stati membri ad utilizzare il Fondo sociale europeo e altri fondi strutturali e di investimento europei per finanziare iniziative a tutela della salute e sicurezza sul lavoro in stretta connessione con l’impegno a promuovere la sostenibilità, la qualità dell’occupazione e l’inclusione sociale.
Un ulteriore campo di intervento riguarda la valorizzazione del ruolo delle parti sociali nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche in questa materia in virtù del fatto che esse hanno dimostrato capacità a trovare risposte che contemperano equamente gli interessi dei lavoratori e quelli delle imprese.
Non meno importanti per il conseguimento di significativi obiettivi risultano gli strumenti di comunicazione e diffusione delle informazioni. L’utilizzo dei tradizionali canali di informazione cartacea e relazionale (convegni, giornate di studio, sensibilizzazione della popolazione con campagne pubblicitarie) deve essere implementato dalle moderne tecnologie informatiche e telematiche per garantire una diffusione più capillare possibile.
Infine, l’Ue sottolinea l’importanza di sinergie tra le politiche della salute e sicurezza e le politiche di diversi settori pubblici quali l’istruzione, la ricerca, la sanità pubblica, l’ambiente, la non discriminazione.
Queste sono le linee guida e gli obiettivi che l’Unione europea ha definito per lo sviluppo delle politiche in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ora tocca a ciascuno Stato dimostrare di voler cogliere le sfide proposte e di adeguare il sistema Paese per garantire competitività e benessere ai propri cittadini.
Bibliografia
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Note
*Questo numero della rubrica Salute e Diritto ospita l’intervento della dottoressa  Silvia Bertocco, ricercatore di Diritto del Lavoro, Scuola di Giurisprudenza, Università di Padova.
1In considerazione dei numerosi rinvii a normative specifiche di futura emanazione e delle numerose modifiche già intervenute al Testo unico d.lgs. 81/2008 (da ultimo con i provvedimenti del governo Decreto del fare e del lavoro dell’estate 2013), forse il termine “definitiva riorganizzazione” risulta più un auspicio che una certezza.
2Il riferimento in primo luogo è ai d.p.r. n. 547/1955 e n. 303/1956, a cui seguirono altre disposizioni speciali.
3Il d.lgs. 626/1994 prima e il Testo unico d.lgs. 81/2008 ora.
4Il Testo unico ha ulteriormente riorganizzato e razionalizzato le precedenti fonti normative, ad eccezione dell’art. 2087 c.c., che è rimasto all’interno del Codice civile.
5Il carattere definitorio della normativa è, come noto, di derivazione comunitaria nel senso che spesso gli atti comunitari si aprono con norme di definizione degli istituti ivi disciplinati. Anche le direttive in materia di tutela della salute e sicurezza presentano questo profilo e contengono disposizioni che indicano il significato da attribuire ai termini contenuti nella direttiva. Se da un lato ciò è positivo in termini di certezza, per altro verso, come nel caso della direttiva in esame, non tutte le definizioni individuate a livello comunitario coincidono con quanto esistente nel nostro ordinamento. L’esempio forse più esplicativo attiene alla nozione di datore di lavoro, che non necessariamente coincide con la figura dell’imprenditore di cui all’art. 2082 c.c.
6L’art. 2 del Testo unico rinvia a concetti già presenti nel nostro ordinamento, sui quali si vedano tra gli altri Frasca, 1990, p. 9 e Natullo, 2011, p 1077.
7Tra le molteplici autorevoli voci in dottrina sul punto si rinvia a Natullo, 2008, p. 87 e Bacchini, 2001, p 8.
8La precisazione appare doverosa a seguito della controversa sentenza CGE, 14 giugno 2007, C-127/05 Commissione vs Regno Unito, in Raccolta della Giurisprudenza comunitaria I-04619, rintracciabile nel sito www.curia.europa.eu ove la Corte, pur confermando il principio del best practicable technology, non ha condannato (per difetto di prove) il Regno Unito che viceversa fonda il suo sistema normativo sul principio del best reasonable practicability, cioè ammettendo una comparazione tra interessi economici e tutela della persona. Molto critico e approfondito il commento di Bonardi, 2008, II, p 12. Per mera completezza si ricorda la sentenza della Corte Costituzionale n. 312 del 25 luglio 1996, su cui si vedano i contributi di Guariniello, 1997, p 339 e Marino, 1997, p 21. Tale pronuncia fu oggetto di aspre critiche in ragione del fatto che la Corte, interpretando il termine “misure concretamente attuabili”, ha stabilito che ci si deve riferire alle “misure che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate. Di conseguenza, sarà penalmente censurata solo la deviazione dei comportamenti imprenditoriali dagli standard di sicurezza propri delle diverse attività produttive”. Ma la battuta di arresto prevista da coloro che temevano l’arretramento della tutela a causa dell’apparente allontanamento dal principio della massima sicurezza tecnologicamente disponibile  in favore della massima sicurezza possibile non si è verificata.
9Si rinvia a qualche recente sentenza in merito all’interpretazione dell’art. 20 del Testo unico rubricato “obblighi dei lavoratori”: Cass pen, sez IV, 10712 del 19 marzo 2012; Cass pen, sez IV, n 4397 del 1 febbraio 2012; Cass pen, sez IV, n 38445 del 22 novembre 2009; Cass pen, sez IV, n 32215 del 6 agosto, 2009 tutte consultabili in Guariniello G, 2013, 217 e ss.
10www.inail.it, voce andamento infortunistico e Salvati, 2014.
11www.inail.it, voce andamento infortunistico.
12L’analisi per classi di età dimostra che al momento della morte il 63% delle persone aveva un’età maggiore di 74 anni.
13Documento consultabile su www.inail.it, voce news, Sala stampa, 9 giugno 2014; si veda anche: www.ec.europa.eu.
14Solamente in Italia nel quadriennio 2008-2012 (ultimo dato disponibile dall’Inail) l’incremento della forza lavoro straniera è stato del 31,4% passando da 1,75 a 2,3 milioni a fronte di un incremento della disoccupazione di italiani di circa 1 milione di soggetti nei settori produttivi coperti da assicurazione Inail. Dati Inail dal sito www.inail.it, voce andamento degli infortuni sul lavoro e Veronico, 2014.
15Fonte Inail consultabile su www.inail.it, voce Andamento degli infortuni sul lavoro e Frizzano, 2014.