“Se la ricerca è la risposta, qual è la domanda?”
Il Coverage with evidence development come strumento di decisioni basate sulle evidenze

Luciana Ballini

Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna

Tra i diversi obiettivi della ricerca traslazionale vi è quello di ridurre il divario tra ricercatori e utilizzatori dei risultati della ricerca. Questi ultimi vengono esortati a diventare interlocutori attivi della ricerca, in grado di esporre i propri quesiti e indirizzare la ricerca verso un percorso di studio che fornisca informazioni per loro rilevanti. L’ambizione della ricerca biomedica è quella di informare le decisioni, sia clinico-assistenziali che di politica sanitaria, e nel fare ciò mette a disposizione metodologie per la raccolta, analisi e interpretazione di dati. Il problema del tenue rapporto tra ricerca e politica sanitaria è stato analizzato e spesso rappresentato in termini della difficoltà della ricerca a produrre risultati in tempi coerenti con quelli decisionali, a trasmettere e comunicare i propri risultati ai decisori, a rendere i propri risultati interpretabili per i decisori. In questa analisi è facile riconoscere il peso del tradizionale paradigma che vede la ricerca come un prodotto sviluppato da alcuni e consegnato ad altri che vanno ‘addestrati’ ad usarlo. Negli ultimi tempi si è fatta strada la consapevolezza che l’elemento chiave per superare l’incostanza di questo rapporto sia la capacità da parte dei decisori di esprimere i propri bisogni conoscitivi e tradurre problemi complessi in percorsi di indagine perseguibili con i metodi della ricerca. Si comincia cioè a porre più attenzione a quel passaggio delicato che i primi manuali di Health technology assessment (Hta) liquidavano con un paragrafo: identificare la domanda di politica sanitaria ( policy question) e tradurla in una serie di quesiti di ricerca (research questions). L’esempio chiarificatore più comune consisteva nel trasporre la domanda “questa prestazione dovrebbe essere rimborsabile?” in “questa prestazione è efficace e in quali casi è appropriata?”. Non sorprende quindi che proprio dal contesto dell’Hta vengano avanzate proposte che entrano nel merito di questa difficile traslazione che, una volta raffinata, può realmente aiutare a sviluppare la relazione integrata tra decisori e ricercatori.
Una proposta che nasce come opzione di politica sanitaria, ma che si è subito presentata come opportunità per i decisori di individuare le lacune conoscitive ed esprimere i propri bisogni informativi, è la cosiddetta Coverage with evidence development (Ced) o adozione di prestazioni sanitarie condizionata dallo sviluppo della ricerca e la produzione dei dati mancanti. Le potenzialità di questo strumento sono state oggetto di una discussione tenutasi all’Health technology assessment international policy forum già nel febbraio 2007 e la proposta nasce dai problemi posti dalla diacronia tra il passo dell’evoluzione tecnologica e il passo dello sviluppo e produzione delle evidenze scientifiche. L’Hta infatti, che si propone come ponte tra i risultati della ricerca e le esigenze dei responsabili di politiche sanitarie, ha frequenti difficoltà nel fornire informazioni tempestive. Quando le decisioni relative all’adozione di nuove tecnologie sanitarie sono concomitanti alla loro approvazione regolatoria o al loro lancio sul mercato, la quantità e qualità di evidenze disponibili è inevitabilmente limitata. Le decisioni sull’accesso e rimborsabilità di prestazioni sono quindi spesso basate sulle “migliori evidenze disponibili” largamente inadeguate. L’adozione condizionata dalla ricerca è una delle opzioni di politica sanitaria pensate per superare i problemi associati alle decisioni prese nell’ambito dell’incertezza e consiste nel consentire un uso condizionale della tecnologia, legandolo allo sviluppo e produzione di ulteriori evidenze attraverso studi formali in grado di valutarne l’impatto. L’utilizzo condizionale permette quindi di usufruire di una tecnologia sanitaria in determinate condizioni e per un periodo di tempo definito, al termine del quale i benefici della prestazione vengono ri-valutati. A seguito della discussione del Forum del 2007 sono state prodotte check-list di domande utili ad individuare quando è opportuno intraprendere un simile percorso, che sta avendo un discreto successo tra gli enti decisionali americani, britannici ed olandesi.
In un recente articolo pubblicato su Health Affairs, il direttore del Nice e altri autori riprendono il dibattito sui pro e contro di questa opzione e propongono un modello analitico per guidare i decisori verso questa scelta. Il focus della loro analisi sta nel come bilanciare i costi dell’attesa di evidenze più robuste e i costi dell’agire prematuramente. Se l’adozione di una tecnologia promettente viene ritardata, ai pazienti verrebbe negato l’accesso a prestazioni che risulteranno poi avere un importante impatto sulla salute. D’altra parte una diffusione prematura potrebbe risultare in uno spreco di risorse in prestazioni inefficaci o dannose che – una volta diffuse – diventa problematico sospendere. È infatti risaputo che è politicamente più difficile sospendere l’accesso ad una prestazione, piuttosto che negarlo in prima istanza. Un ulteriore aspetto da considerare, quando si rapportano questi due costi, è la ricaduta che la decisione di adottare o non adottare una tecnologia ha sulla ricerca. Mentre il frenare una tecnologia in attesa di ulteriori informazioni incentiva la ricerca e la produzione di queste informazioni, le decisioni premature possono compromettere la produzione di ulteriori evidenze. La randomizzazione dei pazienti, ad esempio, potrebbe essere considerata non etica una volta presa la decisione di rendere accessibile la prestazione e anche gli studi in corso potrebbero avere difficoltà a reclutare pazienti. Inoltre, se la rimborsabilità viene assicurata, produttori e sponsor della tecnologia sono meno incentivati a finanziare una ricerca che potrebbe anche portare ad una riduzione delle indicazioni d’uso. In questo contesto l’opzione dell’adozione condizionata dalla ricerca permette di adottare una innovazione senza dover rinunciare alla sua base scientifica. Questa opzione tuttavia, come tutti gli strumenti, deve essere utilizzata con saggezza. Non dovrebbe quindi essere usata per rallentare l’ingresso di innovazioni per soli motivi economici, né come espediente per introdurre innovazioni che godono di forti appoggi e interessi. Ad oggi tende ad essere applicata a tecnologie ad impatto promettente – ma non ancora dimostrato – per indicazioni cliniche che hanno limitate possibilità di trattamenti alternativi. Nel sostenere un maggiore utilizzo di questa scelta gli autori dell’articolo propongono un algoritmo decisionale basato su tre quesiti principali.
1. Ci sono sufficienti evidenze per ritenere che l’innovazione sia migliore del trattamento o tecnologia al momento disponibile? Il livello di incertezza e la qualità delle evidenze disponibili sono importanti variabili da considerare in quanto la decisione influenza lo sviluppo di nuove evidenze.
2. Vale la pena raccogliere maggiori informazioni? I vantaggi potenziali della raccolta di ulteriori dati (il cosiddetto ‘valore dell’informazione’) deve essere raffrontato ai costi della raccolta e di analisi.
3. Conviene aspettare di avere dati aggiuntivi? Questa domanda è rilevante solo se le prime due hanno avuto risposta affermativa, vale a dire una volta stabilito che l’innovazione ha un netto beneficio atteso positivo e che ulteriore ricerca è vantaggiosa. 

Altri aspetti, tipici delle options analysis, vengono presi in considerazione come il valore di mantenere la possibilità di cambiare idea tenendosi aperte le altre opzioni e alcuni aspetti pratici come la probabilità che la ricerca venga realizzata e il tempo necessario a condurla a termine. In sintesi la regola generale per l’utilizzo appropriato di questo strumento recita come segue: quando esiste un forte razionale scientifico per ritenere che la tecnologia sia in grado di offrire sostanziali benefici, ma mancano evidenze dirette di efficacia ritenute inequivocabilmente necessarie per autorizzare l’utilizzo e che possono essere prodotte in tempi adeguati. In altre parole l’incertezza è tale da non poter permettere una decisione, ma la sua risoluzione porterebbe definitivamente allo ‘sblocco’ della decisione.
Al di là della possibilità di gestire l’arrivo di tecnologie innovative con tempestività e di destreggiarsi tra il rischio di non agire per eccesso di prudenza – suggerito dalla razionalità – e il rischio di agire per eccesso di audacia – suggerito dalle aspettative –, l’opzione della adozione condizionata dalla ricerca si pone come un potente strumento per lo sviluppo dell’evidence-based decision making. Il ruolo dei decisori nel determinare la natura della ricerca necessaria assume una fisionomia più precisa soprattutto in ambito di valutazione di tecnologie o device che vengono approvati con evidenze limitate e, spesso, in assenza di dati derivati da studi comparativi. L’approvazione di tecnologie diagnostiche, per esempio, richiede che l’accuratezza diagnostica sia dimostrata, ma non valuta l’impatto dei risultati diagnostici sulle decisioni terapeutiche o gli esiti clinici ad essi conseguenti, mentre le procedure chirurgiche restano generalmente regolamentate solo dal consenso tra esperti o programmi di audit clinico. Le informazioni più rilevanti per i decisori, come gli esiti relativi alla qualità della vita o all’utilizzo proprio delle risorse, spesso non sono disponibili al momento della decisione e l’opzione Ced offre l’opportunità di studiare rischi, benefici e costi anche in setting non sperimentali. Va sottolineato, infine, che questo strumento necessita di adeguate infrastrutture operative in grado di supportare l’intero processo di disegno, approvazione dei comitati etici, finanziamento,  realizzazione efficiente e tempestiva degli studi, capacità e volontà di ri-esaminare la decisione iniziale.
Questi sono senz’altro programmi impegnativi che, tuttavia, presentano le condizioni favorevoli e occasioni concrete perché i decisori possano ‘interrogare’ la ricerca e diventarne utilizzatori ‘attivi’.

Bibliografia
Canadian Health Services Research Foundation (2001), Report from the Foundation’s 2001 annual workshop ‘If research is the answer, what is the question?’ Disponibile online all’indirizzo: http://www.chsrf.ca/­knowledge_transfer/­pdf/research_e.pdf. Ultima consultazione: febbraio 2009.
Chalkidou K, Lord J, Fischer A, Littlejohns P (2008), Evidence-based decision making: when should we wait for more information?, Health Aff, 27 (6): 1642-1653.