Overtreatment e overdiagnosis
Rivisitazione dell’inappropriatezza
Luciana Ballini
Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione Emilia-Romagna

Riassunto. Dal dibattito recente è possibile distinguere quattro tipologie di situazioni che contribuiscono all’eccesso di trattamento conseguente ad una diagnosi impropria: i programmi di screening che rilevano anomalie non necessariamente portatrici di malattia, le variazioni nei valori soglia dei test diagnostici che definiscono lo stato di malattia, lo sviluppo di tecnologie diagnostiche avanzate e le nuove definizioni di malattie. Questo contributo analizza gli articoli, pubblicati di recente sulle riviste internazionali, che hanno analizzato queste situazioni, ricordando anche che ciò che è stato ribattezzato come sovradiagnosi e sovratrattamento è l’antiquato e trascurato concetto di inappropriatezza: quando i benefici ipotizzati di un intervento non ne controbilanciano i rischi. Lo stesso concetto è stato alla base dell’iniziativa Choosing Wisely.
Parole chiave. Inappropriatezza, medicina difensiva, sovradiagnosi, sovratrattamento.


Abstract. With reference to the recent debate, it is possible to distinguish four different situations contributing to overtreatment due to an improper diagnosis: the screening programs establishing anomalies that are not necessarily disease-carriers, the differences in the threshold values of the diagnostic tests defining the disease status, the development of state-of-the-art diagnostic technologies and the new disease definitions. This paper analyzes the articles recently published by international journals that dealt with these situations and reminds that what was renamed with overdiagnosis and overtreatment is the old and no longer used concept of inappropriateness, i.e. when the supposed advantages of an intervention do not compensate for the risks. The same initiative Choosign Wisely is based on this concept.
Key words. Defensive medicine, inappropriateness, overdiagnosis, overtreatment.


Da più di un anno numerosi articoli e testi discutono di questi due termini, strettamente collegati tra loro, mentre commenti e viewpoint si susseguono in maniera consequenziale per costruire una argomentazione sempre più stringente. L’attenzione verso la strana nuova propensione della medicina a danneggiare le persone sane, in contrasto con il suo obiettivo di curare le persone malate, era già stata sollecitata da diverse iniziative, tra le quali spicca la rubrica del British Medical JournalToo much medicine’, che dal 2002 fornisce uno spazio dedicato al tema della sovramedicalizzazione. Anche la rivista Archives of Internal Medicine ospita dal 2010 la rubrica ‘Less is More’ e nel settembre 2013 si è tenuta negli Stati Uniti la prima conferenza internazionale Preventing Overdiagnosis, ospitata dall’Institute of Health Policy and Clinical Practice (Dartmouth, New England), con la collaborazione del BMJ, l’associazione dei consumatori statunitense Consumer Reports e l’università australiana Bond University. 
La sovramedicalizzazione o il sovratrattamento si possono verificare quando le persone ricevono trattamenti per malattie che ancora non hanno sviluppato oppure quando le persone ricevono trattamenti curativi per malattie che non sono più curabili. Al momento però l’attenzione sembra concentrarsi sulle condizioni lievi trattate come severe e dal dibattito recente è possibile distinguere quattro tipologie di situazioni che contribuiscono all’eccesso di trattamento conseguente ad una diagnosi impropria: i programmi di screening che rilevano anomalie non necessariamente portatrici di malattia, le variazioni nei valori soglia dei test diagnostici che definiscono lo stato di malattia, lo sviluppo di tecnologie diagnostiche avanzate e le nuove definizioni di malattie.
Alcuni articoli, pubblicati di recente, illustrano queste situazioni.
Per quanto riguarda lo screening vengono naturalmente presi in esame i programmi di screening dei tumori. I risultati di alcuni studi su coorti di popolazione riportano che l’aumento atteso dell’incidenza di tumori ad uno stadio precoce non è stato accompagnato da una proporzionale diminuzione dell’incidenza di tumori a stadio più avanzato, che rappresenta l’obiettivo primario dei programmi di screening. Questo inatteso risultato si accompagna al timore che alcuni programmi di screening siano causa di sovratrattamento per anomalie erroneamente diagnosticate come tumori. Questo è l’argomento sostenuto in un articolo pubblicato su Jama (Jama 2013; 310: 797), che riporta le raccomandazioni formulate durante un convegno di primavera promosso dal National Cancer Institute. La premessa è che la logica e frequenza dei programmi di screening sia ricondotta al tasso di crescita del tumore, differenziando i tumori a rapida crescita, dai tumori a crescita lenta e progressiva e i tumori indolenti. I programmi di screening sembrerebbero raramente efficaci per il primo tipo, efficaci per il secondo tipo e potenzialmente dannosi per il terzo tipo, in quanto maggiormente a rischio di causare sovratrattamento. Le cinque principali raccomandazioni sono: diffondere la consapevolezza, tra medici, pazienti e cittadini in generale, che la sovradiagnosi è un fenomeno comune e particolarmente frequente nello screening per tumori; modificare l’utilizzo del termine ‘cancro’, riservandolo alle lesioni con probabilità di progressione fatale se non trattate; creare registri per il monitoraggio a lungo termine di lesioni a basso potenziale maligno; mitigare la sovradiagnosi con strategie che riducano la rilevazione di malattie indolenti (ad esempio, tramite la riduzione della frequenza dello screening, la selezione di popolazione ad alto rischio, la ridefinizione dei valori soglia per il richiamo a test di secondo livello); dedicare ricerca alla maggiore conoscenza e comprensione della storia della malattia e della sua progressione.
Un esempio che rappresenta l’effetto di sovradiagnosi e sovratrattamento, dovuto alle variazioni nei valori soglia di malattia, riguarda l’ipertensione lieve (Jama Intern Med 2013; 173: 956). Nell’articolo viene illustrato come, a partire dal 1983 (anno in cui si sono tenuti tre simposi internazionali presso l’Oms, sponsorizzati da tre multinazionali del farmaco), il fluttuare di questi valori abbia portato al considerevole aumento della popolazione in trattamento con inspiegabili variazioni tra paesi. Non vengono conteggiati, ma solo qualitativamente richiamati, l’aumento dei costi, del tempo e delle risorse impegnate e gli effetti indesiderati evitabili che queste variazioni hanno causato, senza apportare riduzione in mortalità e morbilità.
L’angiografia polmonare tramite TAC è l’esempio proposto per descrivere come tecnologie diagnostiche avanzate possano causare sovradiagnosi/trattamento (BMJ 2013; 346: f13368). Lo sviluppo di nuovi e più avanzati test diagnostici è finalizzato all’identificazione di test più accurati, meno invasivi e maggiormente disponibili di quelli oggi in uso. La ricerca per la valutazione dei test diagnostici afferma il principio, largamente disatteso, che quando un nuovo test ha una maggiore sensibilità e/o specificità del test corrente, è mandatorio effettuare uno studio randomizzato controllato adeguato a dimostrare che i ‘nuovi’ pazienti diagnosticati traggano effettivamente beneficio dall’avere ricevuto un trattamento terapeutico indotto dal risultato del nuovo test. Nel caso dell’angiografia polmonare eseguita con TAC l’alta risoluzione – dagli autori definita ‘troppo alta’ – rileva ostruzioni molto piccole e mette in discussione il rapporto rischio/beneficio tra la presenza di un embolo polmonare, la cui estensione potrebbe identificarlo come ‘non pericoloso’, e la terapia anticoagulante con gli effetti avversi che comporta. Studi che abbiano rivalutato la relazione tra benefici e rischi dei trattamenti nei ‘nuovi’ pazienti diagnosticati con la tecnologia più avanzata non sono stati eseguiti e il dubbio di sovra­trattamento rimane.
All’individuazione di nuovi malati concorrono anche le nuove definizioni di malattia, soprattutto se non accompagnate da strumenti diagnostici affidabili e riproducibili. È il caso della sindrome da deficit di attenzione e iperattività, che ‘colpisce’ principalmente i bambini e gli adolescenti. In un articolo di novembre della rubrica Too much medicine (BMJ 2013; 347: f6172) gli autori argomentano come strumenti diagnostici altamente soggettivi, e pertanto insufficientemente validati e riproducibili, abbiano portato ad un aumento di diagnosi di sindrome da deficit di attenzione/iperattività di grado lieve, con conseguente preoccupante aumento di bambini in trattamento farmacologico dai possibili e importanti effetti avversi sulla crescita. In questo caso il problema è duplice: l’allargamento delle maglie della categoria lieve della sindrome che, con il contributo di strumenti diagnostici inaffidabili, ha fatto sì che un numero sorprendentemente elevato di bambini vi rimanesse ‘catturato’.
Tutti questi studi e le numerose altre testimonianze di sovradiagnosi e sovratrattamento evidenziano il paradosso dell’ingiustificato aumento di costi in test e farmaci e di riduzione della qualità della vita e di salute che questo fenomeno dimostra di implicare. Le cause ipotizzate sono diverse: il conflitto di interessi degli esperti chiamati a definire o ri-definire lo stato di salute e malattia, dai quali non ci si difende più con la semplice dichiarazione; i timori medico-legali, sempre menzionati ma mai documentati nella realtà; i facili entusiasmi verso le innovazioni diagnostiche, per le quali la valutazione di efficacia clinica rimane una rarità.
Nel 2014 il BMJ ospiterà una serie di articoli che riporteranno le testimonianze raccolte alla conferenza di settembre Preventing overdiagnosis e possiamo immaginare che la lista di esempi continuerà ad allungarsi.
Non mancheranno certo anche gli esempi contrari: avere ‘scoperto’ la dislessia ha risparmiato a tanti bambini lo stigma della pigrizia – o peggio – del ritardo mentale; riconoscere che le vittime di violenza hanno bisogno di cure dedicate e prolungate non rientra certo tra il disease mongering.
Ciò che è stato ribattezzato come sovradiagnosi e sovratrattamento è l’antiquato e trascurato concetto di inappropriatezza: quando i benefici ipotizzati di un intervento non ne controbilanciano i rischi. Lo stesso concetto è stato alla base dell’iniziativa Choosing wisely.
L’appropriatezza è una dimensione più complessa dell’efficacia. Promuoverla e salvaguardarla richiede tempo, risorse e soprattutto, come auspicano gli autori dei diversi articoli menzionati, ricerca che ri-valuti e rimetta in discussione l’efficacia clinica dei trattamenti ogni volta che si cambiano definizioni di malattia, parametri e strumenti diagnostici. L’impegno costante alla raccolta di evidenze empiriche, che supportino le decisioni assistenziali dei professionisti, è un modo per contrastare l’insensata caccia a nuove malattie che, non sorprendentemente, necessitano quasi sempre di trattamenti farmacologici.