Medici sostituiti da infermieri specializzati: le evidenze da paesi
(non molto) lontani
Luciana Ballini
Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione Emilia-Romagna e Chair della Plenary Assembly, EUnetHTA

Riassunto. L’articolo propone un’analisi delle esperienze di sostituzione della figura del medico con quella dell’infermiere specializzato avviate in particolare nell’ambito delle cure primarie dagli inizi degli anni 2000 nel  Regno Unito, in Olanda, negli Stati Uniti, in Australia e in diversi paesi a basso reddito dell’Africa e dell’Asia, con l’obiettivo di ottenere la riduzione dei costi dei servizi assistenziali, il miglioramento nell’accesso e nella qualità delle cure (poiché i medici avrebbero più tempo per fornire altri servizi più specializzati), e la riduzione del tasso di abbandono del personale infermieristico.
La verifica dell’impatto di queste esperienze è descritta attraverso i risultati di uno studio sistematico effettuato da alcuni ricercatori dell’Università di Zurigo, che hanno analizzato questi interventi da tre punti di vista diversi: quello sugli esiti di salute, quello sul processo assistenziale, e quello sui costi e sull’utilizzo delle risorse. Rispetto ai primi due punti non sono emerse differenze significative nei pazienti assistiti dagli infermieri specializzati piuttosto che dai medici. In alcuni casi l’analisi ha rilevato un maggiore punteggio per la soddisfazione dei pazienti e un ridotto rischio di ospedalizzazione a favore del gruppo seguito dagli infermieri rispetto a quello seguito dai medici. Più incerti i risultati sul risparmio economico.
Nonostante alcuni limiti metodologici emersi dall’analisi degli studi, è sicuramente da apprezzare l’innovatività dell’intervento e il fatto che, nei paesi in cui si è deciso di introdurre questa innovazione, vi sia un forte impegno a verificarne l’impatto e a documentarne gli effetti.
Parole chiave. Assistenza infermieristica, costi sanitari, cure primarie, qualità delle cure.

Abstract. The article proposes an analysis of the experiences regarding the replacement of physicians with specialized nurses mainly started in the primary care at the beginning of the 2000s in the United Kingdom, Netherlands, USA, Australia and many other low-income countries in Africa and Asia with the aim of reducing the costs of healthcare services, of improving the access and the quality of care (as physicians could have much more time to provide other more specialized services) and of reducing the resignations by nurses.
The check of the impact of such experiences is described through the results of a systemic study carried out by some researchers of the University in Zurich who analyzed these topics from three different viewpoints: the impact on health, on the healthcare process, and on the resource costs and use. With reference to the first two points, no relevant differences arose in patients cared by specialized nurses or physicians. In some cases, the analysis showed a higher patients’ satisfaction rate and a reduced hospitalization risk for the group cared by nurses compared to the one cared by physicians. The economic savings were more uncertain.
Despite some methodologic limitations pointed out by the analysis, it is certainly to be appreciated the innovativeness of the intervention and the strong effort made to check the impact and to document the effects in those countries where this innovation was introduced.
Key words. Healthcare costs, nursing, primary care, quality of care.


Il comma 566 della Legge di stabilità del 2015, che dovrebbe contribuire a definire ruoli, competenze, relazioni professionali e responsabilità individuali o di équipe dei professionisti del sistema sanitario italiano, sta suscitando un vivace dibattito – non del tutto privo di componenti ideologiche. Invece, in altri paesi dell’Europa, del Nord America e in diversi paesi a medio-basso reddito dell’Africa e dell’Asia si è intrapresa da più di 15 anni la politica della sostituzione dei medici da parte di infermieri specializzati.
Questo modello assistenziale è stato introdotto principalmente nell’ambito delle cure primarie ed è sostenuto dalla constatazione – documentata dall’Organizzazione mondiale della sanità – che la maggior parte dei paesi e sistemi sanitari soffre di deficit cronico di professionisti sanitari e di una loro incorretta distribuzione, mentre i bisogni assistenziali sono in continua crescita. Sia i paesi che devono affrontare elevati tassi di mortalità infantile, combattere malattie endemiche come la malaria, la tubercolosi o l’Aids, sia i paesi che devono affrontare l’invecchiamento della popolazione e reperire risorse per dare assistenza adeguata ad un crescente numero di persone afflitte da malattie croniche, sono in cerca di politiche e strategie per rendere efficiente ed efficace l’erogazione di nuovi servizi e incrementare l’accesso e la fornitura dei servizi esistenti.
Tra i vari approcci che vengono sperimentati vi è quello di trasferire le attività da professionisti altamente specializzati – i medici – a professionisti meno specializzati – gli infermieri – con l’intento di far fronte alla carenza di medici, di ridurre il loro carico di lavoro e di ridurre i costi del personale.
La sostituzione, a differenza dell’affiancamento o integrazione, richiede un processo di delega attraverso il quale alcune funzioni sono affidate a professionisti sanitari con un livello inferiore di formazione professionale. Per esempio, già dagli inizi degli anni 2000 i sistemi sanitari di alcuni paesi, come il Regno Unito, l’Australia o gli Stati Uniti, prevedono la prescrizione di alcuni farmaci di routine da parte degli infermieri. Attraverso il processo di sostituzione, gli infermieri assumono ruoli precedentemente ricoperti dai medici. Le argomentazioni a sostegno di questo intervento sono molteplici.
Innanzitutto, si pensa che la sostituzione possa ridurre i costi dei servizi assistenziali, rendendoli economicamente più sostenibili per i sistemi sanitari e gli utilizzatori. In secondo luogo, la sostituzione potrebbe incrementare l’accesso alle cure, per via della presenza più numerosa di infermieri, soprattutto in certi contesti o zone del territorio dove la presenza dei medici è più limitata.
In terzo luogo, la qualità delle cure trarrebbe beneficio dalla possibilità di “liberare tempo” per i medici, che potrebbero fornire altri servizi più specializzati. La qualità dell’assistenza potrebbe anche migliorare in ambiti specifici, come ad esempio l’educazione sanitaria dei pazienti e la comunicazione, già tradizionalmente considerate meglio svolte dagli infermieri.
Infine si spera di ridurre il tasso di abbandono del personale infermieristico e di incrementare l’attrattività della professione, riducendo il problema della carenza degli infermieri attraverso l’offerta di nuovi percorsi di formazione e di carriera.
La relazione tra l’intervento di sostituzione dei medici da parte degli infermieri, in determinati contesti assistenziali, e il concretizzarsi di questi obiettivi è tutt’altro che scontata e necessita di dimostrazione. Diversi studi sono stati realizzati per verificare l’impatto di questo intervento. I primi studi erano soprattutto studi osservazionali, ma negli ultimi anni vi è stato un incremento di studi controllati e randomizzati, che ha permesso a revisioni sistematiche di raccoglierne e valutarne i risultati. La maggior parte degli studi è stata condotta in Europa, in particolare nel Regno Unito e in Olanda, dove da più tempo sono stati introdotti per la professione infermieristica percorsi formativi universitari, specialistici e di alta formazione.
Negli ultimi mesi alcuni ricercatori, provenienti dall’Università di Zurigo, hanno pubblicato in tre articoli il loro esaustivo e approfondito studio sistematico sull’impatto di questi interventi (Martinez-Gonzales et al, 2014a e b, 2015). I tre articoli analizzano l’impatto da tre punti di vista diversi: quello sugli esiti di salute, quello sul processo assistenziale, e quello sui costi e sull’utilizzo delle risorse.
Undici studi randomizzati e controllati, per un totale di 30.000 pazienti arruolati, sono stati valutati per misurare l’impatto della sostituzione dei medici da parte di infermieri specializzati nell’assistenza ambulatoriale e territoriale di pazienti affetti da patologie croniche (Aids, ipertensione, scompenso cardiaco, malattie cerebrovascolari, diabete, asma e morbo di Parkinson). Tranne un significativo miglioramento dei valori della pressione sistolica registrato per i pazienti seguiti dagli infermieri rispetto a quelli seguiti dai medici, la metanalisi non ha riscontrato alcuna differenza negli altri parametri clinici, quali la pressione diastolica, il controllo del colesterolo totale, dell’emoglobina glicata, la funzionalità polmonare, renale e cardiaca.
Una successiva metanalisi condotta su dieci studi randomizzati e controllati ha invece riscontrato un risultato significativamente migliore sulla mortalità a favore dei pazienti seguiti dagli infermieri. Gli studi inclusi erano di dimensioni ridotte e solamente tre studi hanno reclutato più di 200 pazienti per braccio. Pertanto, non essendo sufficientemente potenti per dimostrare una non-inferiorità tra i due approcci assistenziali, non è possibile stabilire con certezza che i due modelli si eguagliano. Tuttavia gli autori concludono che è possibile affermare, sulla base di questi risultati, che la sostituzione non comporta peggioramenti degli esiti di salute e che gli infermieri specializzati forniscono ai pazienti affetti da malattia cronica un’assistenza per la gestione della patologia equivalente a quella dei medici.
La soddisfazione dei pazienti, la qualità della vita e il rischio di ricovero in ospedale sono stati valutati in una revisione di 24 studi per un totale di quasi 39.000 pazienti. L’analisi ha rilevato un maggiore punteggio per la soddisfazione dei pazienti e un ridotto rischio di ospedalizzazione a favore del gruppo seguito dagli infermieri rispetto a quello seguito dai medici. I dati relativi agli effetti sulla qualità della vita sono invece risultati di difficile interpretazione a causa della eterogeneità dei metodi di rilevazione. I risultati sembrano indicare che gli infermieri forniscono maggiori informazioni sulle cause e sulla possibile evoluzione della malattia, sono più efficaci nel fornire consigli sulla gestione della malattia e dei sintomi e nel promuovere sia l’adesione alla terapia che l’autogestione della propria condizione da parte del paziente.
I dati dei sei studi sull’utilizzo delle risorse e sui costi sono invece meno conclusivi. Le analisi economiche disponibili non sono sufficientemente robuste e, a causa dell’eterogeneità dei contesti assistenziali e dei costi attribuiti alle risorse utilizzate, forniscono risultati contrastanti. Due studi, che hanno confrontato i costi diretti, ne riportano una leggera riduzione per i pazienti seguiti dagli infermieri. Tuttavia un altro studio ha rilevato un maggiore costo medio per quality adjusted life years (QALYs) per il gruppo assistito dagli infermieri. Gli studi rimanenti non hanno rilevato differenze significative. I risultati sono coerenti con revisioni precedenti, che non hanno riscontrato differenze nei costi e nel carico di lavoro dei medici.
Tutti questi risultati sono da considerarsi preliminari, in quanto la ricerca si sta sviluppando in maniera lenta e disomogenea. Gli studi sono ancora di dimensioni ridotte, mentre sarebbe necessario averne di grandi dimensioni con l’arruolamento di un numero elevato di infermieri e di medici, oltre che di pazienti. L’obiettivo dovrebbe essere quello di confrontare due modelli assistenziali testando ipotesi predefinite (non inferiorità degli esiti clinici, riduzione dei costi e del carico di lavoro dei medici, impatto sulla soddisfazione dei pazienti e sui processi). Inoltre i motivi di eventuali differenze dovrebbero essere documentati e interpretati.
Infine vi è una notevole disomogeneità nella definizione dell’infermiere specificatamente formato a sostituire il medico, con pochi dettagli sul tipo di formazione, anni di esperienza, competenze e ruolo che l’infermiere dovrebbe avere.
Al di là di questi importanti limiti metodologici, rimane da apprezzare l’innovatività dell’intervento e – soprattutto – il fatto che, nei paesi in cui si è deciso di introdurre questa innovazione, vi sia un forte impegno a verificarne l’impatto e a documentarne gli effetti, dimostrando cultura e capacità di sottoporre le proprie politiche sanitarie all’onere della prova, e non solo ad accesi dibattiti.
Bibliografia
Martınez-Gonzalez NA, Rosemann T, Tandjung R, Djalali S (2015), The effect of physician-nurse substitution in primary care in chronic diseases: a systematic review, Swiss Med Wkly, 145: w14031. doi: 10.4414/smw.2015.14031 145
Martınez-Gonzalez NA, Tandjung R, Huber-Geismann F et al (2014), Effects of physician-nurse substitution on clinical parameters: a systematic review and meta-analysis, PLoS One, 9 (2): e89181. doi: 10.1371/journal.pone.0089181
Martınez-Gonzalez NA, Tandjung R, Huber-Geismann F et al (2014), Substitution of physicians by nurses in primary care: a systematic review and meta-analysis, BMC Health Serv Res, 14: 214. doi: 10.1186/1472-6963-14-214.