Mappe per la ricerca: strumenti innovativi per la sintesi delle evidenze
Luciana Ballini
Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, Regione Emilia-Romagna; Azienda USL di Reggio Emilia

Riassunto. Perché i risultati di una ricerca abbiano un valore, occorre che siano posizionabili e posizionati nel continuum della conoscenza a cui lo studio appartiene. Per fare questo, può risultare particolarmente utile la ‘mappa delle evidenze’, uno strumento innovativo di rappresentazione delle conoscenze disponibili presentata e illustrata in un articolo recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Epidemiology (Snilstveit et al, Evidence & Gap maps: a tool for promoting evidence informed policy and strategic research agendas, J Clin Epidemiol 2016, doi: 10.1016/j.jclinepi.2016.05.015). In questo contributo presentiamo una descrizione delle sue caratteristiche, delle chiavi di lettura che offre, e di come può essere utilizzata nel campo della ricerca per definire “ciò che si dovrebbe sapere” rispetto a un particolare argomento, illustrare “ciò che si sa”e permettere di prioritizzare “ciò che manca di sapere”.
Parole chiave. Evidenza, ricerca biomedica, sprechi, valutazione.


Abstract. In order for the results of a research to be fully valued, they have to be positioned in the continuum of the knowledge to which the study belongs. To do this, it may be useful the ‘evidence map’, i.e. an innovative tool representing the available knowledge. This map was introduced and shown in an article recently published by the Journal of Clinical Epidemiology (Snilstveit et al, Evidence & Gap maps: a tool for promoting evidence informed policy and strategic research agendas, J Clin Epidemiol 2016, doi: 10.1016/j.jclinepi.2016.05.015). In this paper we describe its characteristics, the reading keys it offers, and how it can be used in the research to define “what you should know” of a particular topic, to show “what you know” and to allow prioritizing “what you do not still know”.
Key words. Biochemical research, evaluation, evidence, wastes.

Nella serie di articoli dedicati al valore e allo spreco della ricerca biomedica pubblicata su Lancet ad inizio 2014 e commentata a suo tempo in questa rubrica (vol 15, n 1, 2014), una prima fonte di spreco veniva individuata nella frequente mancanza – all’interno degli studi o delle proposte di ricerca – di un riferimento ad una revisione sistematica delle conoscenze disponibili sul tema o quesito oggetto di studio. Gli autori della serie insistevano sulla necessità di argomentare ogni studio sulla base di una revisione sistematica delle evidenze esistenti e di un resoconto degli studi in corso, al fine sia di illustrare e collocare l’obiettivo specifico dello studio all’interno di un obiettivo di conoscenza più ampio, sia di attestare l’affiliazione dei ricercatori alla comunità scientifica di riferimento. La collocazione dei singoli studi all’interno di una progettualità complessa e a lungo raggio facilita l’individuazione della ricerca maggiormente rilevante e ne incrementa la probabilità di utilizzo dei risultati. In altre parole, perché i risultati di una ricerca abbiano un valore, occorre che siano posizionabili e posizionati nel continuum della conoscenza a cui lo studio appartiene.
Per fare questo, è probabile che risulti particolarmente utile uno strumento innovativo di rappresentazione delle conoscenze disponibili: la mappa delle evidenze, presentata e illustrata in un articolo recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Epidemiology (Snilstveit B, Vojtkova M, Bhavsar A, Stevenson J, Gaarder M, Evidence & Gap Maps: a tool for promoting evidence informed policy and strategic research agendas, J Clin Epidemiol (2016), doi: 10.1016/j.jclinepi.2016.05.015).
La Evidence & Gap Maps (EGM), finalizzata principalmente ad individuare le lacune della ricerca esistente e a delineare la direzione della ricerca futura, si propone come strumento complementare a quelli già esistenti a supporto della sintesi sistematica delle evidenze scientifiche.
Si presenta come uno strumento descrittivo, piuttosto che analitico, e pertanto abbastanza semplice da apprestare e in grado di fornire una sintesi in tempi particolarmente rapidi.
La sua caratteristica principale risiede nell’offrire una visione panoramica e complessiva di un determinato problema o argomento di interesse e della ricerca sviluppata su quel tema.
Una volta individuato l’argomento (un problema assistenziale, di sanità pubblica oppure di politica sanitaria), il processo di costruzione della “mappa” inizia infatti con la costruzione di uno schema a matrice, sviluppato sulla base di una catena causale, che riporta tutti gli interventi e gli esiti di interesse per la possibile soluzione o gestione del problema. La progettazione della mappa necessita di un processo di consultazione con esperti provenienti da diverse discipline e di una approfondita familiarizzazione con la letteratura di riferimento, esattamente come avviene per la definizione iniziale del profilo delle evidenze di un intervento, per l’esercizio di scoping di un rapporto di Health Technology Assessment o per la formulazione del quesito PICO (Population, Intervention, Comparator, Outcome) di una revisione sistematica. L’ambito di interesse di una mappa delle evidenze è generalmente molto più ampio rispetto a una revisione sistematica e include una molteplicità di interventi e di esiti (da quelli intermedi a quelli finali), avendo come scopo la rappresentazione della ricerca disponibile su un determinato argomento e non su uno specifico intervento.
Mentre la ricerca degli studi pubblicati è condotta in maniera sistematica interrogando tutte le banche dati ritenute appropriate e rilevanti, l’estrazione dei dati dagli studi inclusi è molto meno complessa di una revisione sistematica sviluppata per valutare l’impatto o l’efficacia di un intervento. Essendo l’analisi principalmente descrittiva, le informazioni registrate riguardano solamente la popolazione in studio, gli esiti e le misure di esito utilizzate, il disegno dello studio e la sua collocazione geografica. La matrice è quindi popolata con gli studi identificati che vengono inseriti e visualizzati in ogni cella della matrice, rappresentante la relazione tra un determinato intervento e un determinato esito. L’utilizzo di forme geometriche e di colori aiuta a fornire una visualizzazione immediata della quantità e qualità degli studi condotti: ogni studio o pubblicazione è rappresentato da un cerchio, il colore ne caratterizza la tipologia (studio primario o revisione sistematica), e la grandezza ne caratterizza il numero di soggetti o di studi inclusi. La scala di colore, infine, rappresenta il livello di confidenza nei risultati riportati dallo studio. L’obiettivo principale della mappa è comunicare quanti studi sono stati condotti su ogni intersecazione tra intervento e esito, pertanto la mappa non riporta alcuna sintesi dei risultati degli studi inclusi, né i risultati dei singoli studi. Nonostante l’apparente povertà di informazioni, le chiavi di lettura della matrice – visualizzata su una singola pagina – sono molteplici.
Innanzitutto, come è nell’intento degli autori, nella mappa sono immediatamente riconoscibili gli spazi vuoti o poco popolati che stanno ad indicare la mancanza di studi e a suggerire dove dirigere fondi per la ricerca. La mappa consente anche di individuare le tendenze della ricerca in termini di tipologia di esiti e di misure di esito, la gamma di interventi proposti e lo stadio di sviluppo della conoscenza dei singoli interventi, rendendo facilmente identificabili i filoni di ricerca intrapresi e abbandonati, quelli riprodotti e quelli duplicati. Consente ai proponenti di nuovi studi di illustrare come la propria ricerca si posiziona rispetto a quella passata e – a ricerca conclusa – di fornire un resoconto dei propri risultati argomentato alla luce di quelli già disponibili.
Oltre alla sua utilità per la ricerca primaria, la mappatura delle evidenze può essere molto utile per la programmazione delle sintesi secondarie. La presenza o meno di studi primari può orientare verso la decisione sulla necessità di condurre una revisione sistematica. Spesso importanti risorse vengono investite in revisioni sistematiche su quesiti ritenuti rilevanti, ma l’eventuale mancanza di studi viene riscontrata solamente a lavoro ben avviato. Una mappa delle evidenze in questo caso contribuisce a sollecitare la conduzione di studi primari, senza dover intraprendere una revisione sistematica, e a intraprendere o aggiornare una revisione quando in presenza di numerosi o nuovi studi.
Nell’ambito della valutazione delle tecnologie sanitarie la mappatura delle evidenze è stata recentemente proposta e testata per sintetizzare i risultati dei rapporti di valutazione (ref. EUnetHTA JA2 WP7 Deliverable position paper on how to best formulate research recommendations for primary research arising from HTA reports
http://eunethta.eu/sites/5026.fedimbo.belgium.be/files/EUnetHTA Position Paper on research recommendations.pdf).
La mappatura delle evidenze, costruita attraverso il processo di scoping sul profilo delle evidenze della tecnologia, viene in questo caso utilizzata per comunicare quale ricerca aggiuntiva è necessaria per completare il profilo di efficacia, sicurezza, costo-efficacia e accettabilità di una tecnologia sanitaria. Ne risultano raccomandazioni per la ricerca formulate secondo un processo esplicito, che possono sia promuovere progetti di ricerca collaborativi, sia facilitare l’introduzione controllata di tecnologie innovative nei sistemi sanitari attraverso programmi di utilizzo condizionato dalla raccolta di evidenze aggiuntive.
Una mappa sviluppata prima di effettuare una valutazione potrebbe essere utile per programmare l’attività di Hta. Come nel caso delle revisioni sistematiche, i rapporti di Hta “vuoti” – ovvero privi di conclusioni per mancanza di evidenze empiriche – rappresentano uno spreco di risorse. La costruzione della mappa delle evidenze sulle tecnologie sanitarie innovative proposte per una valutazione consentirebbe in tempi rapidi di avere gli elementi per discriminare le tecnologie più o meno studiate o le indicazioni più o meno supportate da evidenze scientifiche, andando a supporto dei processi di prioritarizzazione delle tecnologie da sottoporre a valutazione.
La mappatura delle evidenze, integrata dagli studi in corso o programmati, potrebbe anche essere utilizzata dagli sviluppatori di innovazioni, per illustrare come la nuova tecnologia si colloca e interagisce con gli interventi esistenti. La presentazione di un piano di sviluppo sul quale sono tracciati gli studi conclusi e quelli in programma per il futuro aiuterebbe a fornire una visione maggiormente dinamica dell’innovazione proposta.
Nell’ambito delle politiche sanitarie, infine, la costruzione iniziale della mappa consente di rappresentare la ricerca condotta su interventi molto diversi tra loro (interventi terapeutici, educativi, organizzativi, sociali, etc), che vengono messi in relazione attraverso la loro potenzialità di incidere su un medesimo esito. Ciò incoraggerebbe a ragionare sulla possibilità di investire in molteplici interventi, interconnessi all’interno della catena causale, che si compensano e integrano tra di loro, dando luogo a programmi complessi.
Il modello illustrato non è l’unico disponibile in letteratura e se ne stanno sviluppando diversi, che si differenziano per obiettivo informativo e per tipologia di estrazione e codifica dei dati. Sono tuttavia accomunati dall’essere descrittivi, dall’essere completati in tempi rapidi e aggiornati con facilità e dall’offrire un’immediata lettura delle informazioni. Pur avendo un obiettivo descrittivo e non analitico, queste mappe propongono un riferimento concettuale di particolare significato, attraverso lo sforzo di definire “ciò che si dovrebbe sapere” rispetto a un particolare argomento, di illustrare “ciò che si sa”e di permettere di prioritizzare “ciò che manca di sapere”.