Fondi sanitari e nuovi livelli essenziali di assistenza: un intreccio potenzialmente pericoloso
Nerina Dirindin
Scienza delle Finanze, Università di Torino

Riassunto. I fondi sanitari sono strumenti finanziari in grado di perseguire numerosi obiettivi: i datori di lavoro riducono il costo del lavoro, l’intermediazione finanziario-assicurativa amplia il giro d’affari, i produttori di prestazioni sanitarie contrastano la sobrietà dell’offerta pubblica, il Servizio sanitario nazionale mette in atto il proprio crescente disimpegno nei confronti della tutela della salute e i lavoratori scambiano più coperture sanitarie con meno remunerazione in busta paga, meno pensione e meno Tfr. Presentati come una win-win solution, in realtà producono effetti redistributivi e allocativi che non migliorano il benessere della collettività, in particolare non migliorano la condizione dei meno abbienti destinati a fruire di prestazioni sanitarie non uniformi rispetto al resto della popolazione. Concorrono a indebolire il Ssn, offrendo soluzioni solo apparentemente poco costose e contribuiscono a legittimare le equivoche decisioni di chi depotenzia la sanità pubblica. Il loro sviluppo ha beneficiato di un impianto normativo disorganico e compiacente. È necessario un riordino complessivo della normativa sui fondi sanitari, a partire dal regime fiscale e dall’ambito di azione, in modo da evitare oneri a carico della collettività non giustificati da adeguati benefici. È inoltre indispensabile evitare ogni ridimensionamento implicito e esplicito dei livelli essenziali di assistenza (Lea), a garanzia dell’universalismo introdotto nel 1978 e finanziato con risorse pubbliche.

Classificazione JEL. I13, I18.

Parole chiave. Fondi sanitari, Lea, welfare aziendale.


Abstract. Supplementary health insurance plans are ‘multi-purpose’ financial instruments that help employers reduce labour cost, financial-insurance intermediators expand their business, healthcare providers contrast the sobriety of the public supply. Otherwise National health service disengagements and workers exchange more health coverage with less remuneration, pension and severance pay. Often welcome as a ‘win-win solution’, supplementary health insurance plans actually produce redistributive and allocative effects that do not improve the welfare of the community, in particular of the less affluent. They contribute to weaken the Nhs, offering cheap solutions and legitimating the equivocal decisions to impoverish public health. Their development received a boost by an unsystematic and complacent regulatory system. A reorganization of the legislation is needed, starting from the fiscal regime and the scope of action, in order to avoid burdens on the community not justified by adequate benefits. It is also indispensable to avoid any implicit and explicit resizing of the Lea (Essential levels of care), and safeguard universalism introduced in 1978.

JEL classification. I13, I18.

Key words. Corporate welfare, supplementary health insurance, essential levels of health care.



I fondi sanitari sono una realtà poco conosciuta, dagli effetti difficili da enucleare, il cui sviluppo risente di una governance frammentaria e disorganica. I livelli essenziali di assistenza sono una realtà in continuo aggiornamento ma a rischio di essere messi al servizio dello sviluppo dei fondi.
Il presente contributo si propone di analizzare i problemi connessi allo sviluppo dei fondi sanitari e di discuterne il loro possibile intreccio con i Lea.
1. I fondi sanitari: equivoci, distorsioni e luoghi comuni
Secondo i dati ufficiali del Ministero della salute, oltre 10,6 milioni di italiani sono iscritti a un fondo sanitario ovvero a uno dei tanti piani sanitari generalmente offerti dai datori di lavoro ai propri dipendenti e sottoscritti in occasione di un rinnovo contrattuale1. Il dato è parziale perché si riferisce all’anno fiscale 2016 (il fenomeno è in crescita) e perché riporta solo i soggetti che si sono volontariamente iscritti all’Anagrafe dei fondi sanitari del sistema informativo, Siaf, del Ministero della salute2.
La dimensione del fenomeno richiede una puntuale riflessione sul ruolo dei fondi e sugli effetti che ricadono sulle diverse parti coinvolte, evitando ogni equivoca semplificazione.
I fondi sono presentati, non solo dai loro gestori ma anche dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori nonché dal mondo assicurativo, come una win-win solution, ovvero una situazione da cui tutti possono trarre beneficio. In realtà, come avremo modo di argomentare, i fondi sanitari producono effetti che non possono essere considerati vantaggiosi per tutte le parti coinvolte, a meno che non ci si voglia concentrare solo su alcuni aspetti e solo su alcuni soggetti, oscurando ciò che potrebbe mettere in dubbio le valutazioni di chi ha specifici interessi di parte.
Le distorsioni nel dibattito sui fondi sono dovuti al fatto che si tratta di un tema complesso, rispetto al quale gli interessi sono estremamente rilevanti e le informazioni disponibili sono piuttosto parziali.
Non possiamo nasconderci che molti operatori economici pubblici e privati utilizzano strumentalmente le difficoltà della finanza pubblica e del Ssn per incoraggiare (o addirittura sostenere) strumenti finanziari — i fondi appunto —, che nella gran parte dei casi (non sempre, per fortuna) tradiscono gli obiettivi stessi che, in modo ingannevole, gli stessi decisori dichiarano di voler perseguire. Come avremo modo di argomentare, i fondi sanitari costituiscono infatti — se non adeguatamente regolamentati, in particolare nelle agevolazioni fiscali — un costoso strumento destinato ad aumentare i consumi sanitari, per lo più a prescindere dai criteri di appropriatezza e dalle prove di efficacia su cui tanto insiste la sanità pubblica. Il pacchetto di servizi ricompresi nel piano sanitario è attentamente selezionato in modo da apparire generoso (sono ad esempio proposti check-up, anche a prescindere dalle evidenze scientifiche di reale efficacia) e al contempo da tenere sotto controllo le richieste di rimborso. In questo senso contribuisce a peggiorare le performance complessive del nostro sistema sanitario, da tutti riconosciuto sobrio ed efficace, promuovendo modelli di consumo che non distinguono (per precise strategie di marketing) fra consumi essenziali e consumi superflui o addirittura dannosi 3.
I fondi sono quindi destinati ad aumentare la spesa complessiva pubblica e privata, e a creare diseguaglianze nella tutela della salute. Sono inoltre deputati a ricostituire quel legame fra condizione lavorativa e protezione sanitaria che, 40 anni fa, con l’istituzione del Ssn, era stato superato attraverso l’introduzione di un sistema a favore di tutti, a prescindere dalla posizione nel mondo del lavoro e dal settore di attività di ciascun componente la collettività. E così, è sempre più incoraggiato lo sviluppo di strumenti che in realtà non solo non migliorano (per lo meno non necessariamente) il benessere delle persone, ma addirittura possono peggiorarlo, favorendo un eccesso incontrollato di coperture sanitarie.
Ma, come ebbe a dire Tina Anselmi, ministro della sanità quando venne approvata la legge 833/1978, “i diritti conquistati non sono mai definitivi: vanno difesi”4. Tina Anselmi raccomandava a tutti di “stare in guardia”: le sue parole suonano oggi come un monito per ognuno di noi.
Troppo spesso abbiamo osservato una equivoca disponibilità da parte dei decisori nazionali ad ampliare gli spazi per il finanziamento privato del settore sanitario attraverso il ridimensionamento della sanità pubblica e un contemporaneo ampliamento delle agevolazioni fiscali a favore dei fondi5. Ciò è avvenuto, a mio avviso, non tanto per ragioni di finanza pubblica, ma piuttosto in risposta alle istanze del mondo produttivo (alla ricerca di strumenti per contenere l’elevato costo del lavoro) e alle richieste degli operatori dell’intermediazione finanziario-assicurativa (alla ricerca di mercati profittevoli nel settore sanitario), senza alcuna analisi delle ricadute sulla tutela della salute e sulla dinamica della spesa complessiva (Dirindin, 2018).
Troppo spesso abbiamo rilevato l’arrendevolezza delle organizzazioni sindacali di fronte alle proposte di scambio fra remunerazione monetaria in busta paga e remunerazione in natura, sotto forma di fringe benefit, arrendevolezza frutto di una visione parziale (di categoria) e di breve periodo, che in prospettiva rischia di intaccare le conquiste di cui parlava Tina Anselmi.
Troppo spesso abbiamo sentito illudere i lavoratori rispetto ai vantaggi dei fondi sanitari (in termini di risparmio di imposta e di accesso alle prestazioni), senza alcun riguardo ai loro costi (in termini di minore pensione, minore Tfr, maggiori vincoli nell’utilizzo della remunerazione) e soprattutto senza alcuna chiarezza circa il rapporto fra rimborsi effettuati e contributi versati ai fondi. Nel dibattito corrente si assume infatti che i contributi versati ad un fondo sanitario siano interamente (o quasi) destinati a generare benefici a favore dei lavoratori. In realtà non è così. A quanto risulta, i costi amministrativi e gli accantonamenti sono piuttosto ingenti, tali da erodere in modo significativo i vantaggi connessi ai risparmi di imposta.
Troppo spesso abbiamo ascoltato affermazioni sulla insostenibilità del Servizio sanitario nazionale, come se si trattasse di un dogma indiscutibile al quale non si può porre rimedio se non con forme alternative di finanziamento — i fondi sanitari appunto — purché agevolate fiscalmente e con adeguati spazi all’interno dei livelli essenziali di assistenza. Come noto, tali spazi possono essere resi disponibili attraverso due diverse strategie: una esplicita esclusione dai Lea di alcune prestazioni oppure un concreto indebolimento dell’offerta pubblica in particolare nelle tipologie di assistenza di maggior interesse per l’intermediazione finanziario-assicurativa. Fino ad oggi l’esclusione dai Lea non è mai stata politicamente praticabile 6, ma alcuni interventi — dal superticket alla contrazione del personale dipendente del Ssn — hanno di fatto creato spazi concreti di acquisizione da parte degli erogatori privati di importanti quote di mercato, in particolare nella diagnostica e nelle visite specialistiche. E l’aumento degli spazi per la produzione privata trascina inevitabilmente la richiesta di forme di protezione delle spese che restano a carico dell’assistito, out of pocket.
La specialistica ambulatoriale è il principale settore sul quale si concentrano le strategie di crescita dell’intermediazione finanziaria: si tratta di un settore facilmente aggredibile, sufficientemente rilevante e con una capillare presenza di erogatori privati su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un ambito di grande interesse per i fornitori di tecnologie e di materiale di consumo che da anni vedono frustrate le loro ambizioni di crescita a causa delle restrizioni imposte dalla finanza pubblica e che quindi sono costretti, loro malgrado, a puntare sull’espansione del mercato privato delle prestazioni sanitarie e di conseguenza sulle forme alternative di copertura sanitaria. Abbiamo detto loro malgrado perché tali settori produttivi preferirebbero verosimilmente una ripresa della domanda pubblica, piuttosto che l’espansione di quella privata. Il settore pubblico è infatti ancora considerato un buon cliente, poco esigente, con esperienze diversificate ma che soffre di rilevanti divari informativi e che tende ad affidarsi alle competenze del fornitore; non presenta inoltre rischi di insolvenza, salvo i ritardi nei tempi di pagamento, ben noti ai fornitori e incorporati a priori nelle condizioni di vendita. Il settore privato è invece più frammentato, più competitivo, più rischioso quanto a solvibilità. Ma dopo tanti anni di restrizioni imposte alla sanità pubblica, i fornitori del settore sono fortemente tentati di aderire alle sollecitazioni che provengono dall’intermediazione finanziario-assicurativa e puntare sullo sviluppo della domanda privata, intermediata dai fondi sanitari. E forse non è un caso che la grave decisione, presa da un governo di centro-sinistra (nel 2006) e poi ripresa da un governo di centro-destra (nel 2011) 7, di introdurre il cosiddetto superticket abbia interessato il settore della specialistica ambulatoriale. Non si è trattato infatti di un grossolano errore di un’amministrazione pubblica che ha immaginato che imporre prezzi (per l’accesso alle proprie prestazioni) superiori a quelli della concorrenza avrebbe giovato al sistema. Si è trattato di una subdola (e forse non inconsapevole) scelta di precostituire, in nome del risanamento delle finanze pubbliche, un percorso volto a favorire lo spostamento di quote di assistiti dalla sanità pubblica a quella privata (si noti: al privato a pagamento e non al privato accreditato). E così a poco a poco la popolazione si sta abituando a considerare normale rivolgersi, per alcune prestazioni, agli erogatori privati rinunciando persino a far valere i propri diritti nei confronti delle strutture pubbliche. Non c’è stato quindi bisogno di una esclusione esplicita dai livelli essenziali di assistenza; le garanzie si sono ridotte, in molte aree territoriali e per molti servizi, per effetto del sistema perverso di incentivi messo in atto dal legislatore nazionale.
Sulla base di tali considerazioni è possibile sostenere che il lento e continuo indebolimento della sanità pubblica non è dovuto, se non in parte, alle difficoltà della finanza pubblica. Esso è il frutto di politiche nazionali volte a impoverire il Servizio sanitario nazionale al di là di ogni esigenza di risanamento dei conti pubblici e di miglioramento dell’efficienza nell’impiego delle risorse. Si tratta di una esplicita scelta politica di crowding in verso i fondi privati, sempre meno integrativi e sempre più sostitutivi, agevolata attraverso il sistema fiscale (Caruso, 2016). È il frutto di un crescente disimpegno nei confronti della tutela della salute funzionale ad assecondare, o comunque a non mettere in discussione, le richieste provenienti da più parti del mondo produttivo — in primo luogo dell’intermediazione finanziaria — di un graduale superamento del sistema universalistico, globale e solidale. Hanno così lavorato nella stessa direzione due strategie che avrebbero dovuto puntare a obiettivi differenti. L’obiettivo del contenimento della spesa pubblica è stato perseguito scaricando parte della responsabilità della tutela della salute su soggetti privati, rinunciando quindi alla fondamentale salvaguardia dei principi di uniformità ed equità. Gli obiettivi di espansione del mercato delle prestazioni sanitarie e del mercato dell’intermediazione finanziaria sono stati perseguiti con paziente tenacia, nell’interesse di specifici soggetti economici, mascherandoli da azioni di sostegno a un’offerta pubblica in continuo affanno.
Non si vuole in questa sede negare ogni ruolo ai fondi sanitari. Si vuole più semplicemente respingere i luoghi comuni secondo i quali i fondi costituiscono la soluzione di ogni problema del sistema sanitario. Fare chiarezza su vantaggi e svantaggi per le diverse parti coinvolte è indispensabile per aprire una riflessione seria sulle opportunità e sugli ambiti di ogni possibile sviluppo dei fondi stessi.
2. I fondi sanitari: vantaggi e oneri per i diversi soggetti
I fondi sanitari sono strumenti finanziari attraverso i quali i datori di lavoro riducono il costo del lavoro; l’intermediazione finanziario-assicurativa amplia il proprio giro d’affari; i produttori di prestazioni sanitarie contrastano la sobrietà dell’offerta pubblica; il Servizio sanitario nazionale mette in atto il proprio crescente disimpegno nei confronti della tutela della salute e i lavoratori scambiano più coperture sanitarie con meno remunerazione in busta paga, meno pensione e meno Tfr.
Si consideri, con riferimento alla principale tipologia di fondi sanitari (quella istituita dai datori di lavoro a favore dei propri dipendenti), i diversi soggetti coinvolti nel loro funzionamento:
• le imprese, in quanto datori di lavoro che offrono piani sanitari a titolo di fringe benefit8;
• le organizzazioni sindacali, in quanto rappresentanti dei lavoratori che negoziano il piano sanitario;
• gli iscritti ai fondi, in quanto destinatari della copertura sanitaria;
• l’intermediazione finanziaria-assicurativa, coinvolta nel disegno e nella gestione dei fondi;
• le imprese del settore sanitario, in quanto produttrici dei beni e servizi oggetto della copertura sanitaria;
• la finanza pubblica, per gli effetti prodotti dalle agevolazioni fiscali;
• il Servizio sanitario nazionale, per gli effetti sulla sua sostenibilità e sulla sua efficacia.

Di seguito si analizzano sinteticamente i principali effetti per ciascuno dei soggetti coinvolti.
Dal punto di vista delle imprese che offrono ai propri dipendenti una copertura sanitaria, i fondi sanitari sono strumenti finanziari attraverso i quali i datori di lavoro moderano — in occasione del rinnovo dei contratti — le richieste di aumenti retributivi in busta paga, offrendo ai dipendenti forme di remunerazione per così dire in natura. L’istituzione di un fondo riduce in modo significativo, a parità di personale impiegato, il costo del lavoro, perché i versamenti a favore dei fondi non sono soggetti a prelievo contributivo 9. Sulla base di specifici accordi, l’impresa non è inoltre tenuta ad accantonare le quote annuali di remunerazione differita (trattamento di fine rapporto di lavoro) rendendo così disponibili risorse liquide altrimenti destinate al fondo Tfr10. Le agevolazioni fiscali spingono quindi le imprese a sviluppare forme di remunerazione in natura, meno costose della remunerazione in busta paga, presentate ai lavoratori come volte a promuovere il loro benessere offrendo pacchetti di servizi che vincolano la libera allocazione delle risorse del singolo.
Dal punto di vista delle organizzazioni sindacali i fondi sanitari costituiscono lo strumento attraverso il quale i sindacati di categoria riescono, anche in anni di profondi cambiamenti dei rapporti fra le parti, a chiudere i contratti di lavoro, ottenere aumenti salariali in natura, offrire ai propri iscritti l’accesso a forme di welfare tradizionalmente riservate alla dirigenza e partecipare al governo dei piani sanitari.
Dal punto di vista dei lavoratori, i fondi sanitari costituiscono una forma di remunerazione indiretta imposta dalle organizzazioni sindacali e dai datori di lavoro (i livelli di soddisfazione degli iscritti sono ignoti o talvolta deludenti11), attraverso i quali i cittadini possono coprire il rischio di spendere per prestazioni sanitarie private. Il lavoratore rinuncia all’aumento della remunerazione in busta paga e, conseguentemente, non paga le imposte sui redditi e non versa i contributi previdenziali a suo carico. Per i lavoratori l’adesione a un fondo costituisce quindi uno scambio intertemporale: la possibilità di ricorrere oggi al mercato privato delle prestazioni sanitarie (e di ricevere un parziale rimborso) è pagata con una minore pensione domani e un minore trattamento di fine rapporto al momento del collocamento a riposo. Si noti che i fondi sono offerti ai lavoratori facendo leva solo sui vantaggi derivanti dalle agevolazioni fiscali, distorcendo la percezione che i lavoratori stessi ne possono trarre e oscurando il fatto che le agevolazioni contributive in realtà non sono un vero e proprio risparmio ma costituiscono più semplicemente un minor accantonamento previdenziale al quale corrisponderà una minore pensione. La percezione dei costi e dei benefici da parte dei lavoratori è peraltro fortemente condizionata dalle carenze informative e dalle strategie di marketing dei fondi 12. L’adesione al fondo consente al lavoratore l’accesso a prestazioni percepite come di maggiore qualità (per lo meno nella componente delle amenities, del comfort e dei tempi di attesa) e lo libera dalla necessità di prendere in considerazione vincoli di reddito quando valuta di poter ricorrere a prestazioni a pagamento. Il probabile basso rapporto fra rimborsi effettuati e contributi riscossi, sul quale sarebbe necessaria maggiore trasparenza, e la conseguente probabile dimensione degli accantonamenti realizzati dai fondi (verosimilmente superiori a quanto giustificato da motivi prudenziali)13 rischiano di trasformare una copertura sanitaria che dovrebbe avere come principale obiettivo la tutela della salute in uno strumento finanziario per l’impresa, che non accantona le quote per il Tfr, e per i fondi, che alimentano importanti riserve i cui beneficiari futuri non sono facilmente individuabili.
Dal punto di vista dell’intermediazione finanziario-assicurativa, i fondi sono prodotti attraverso i quali è possibile ampliare il mercato delle coperture sanitarie, ancora poco diffuse nel nostro Paese proprio perché i cittadini sanno di poter contare su una copertura pubblica, per quanto in difficoltà; accrescere il giro di affari (le risorse versate dai datori di lavori e/o dai lavoratori); aumentare la somma di denaro destinata ad accantonamenti a titolo di riserve tecniche per importi che vanno verosimilmente oltre quanto giustificato da una ragionevole e prudente valutazione dei rischi futuri, ed espandere i profitti e/o le posizioni di vertice degli enti gestori.
Dal punto di vista delle finanze pubbliche, le agevolazioni fiscali riconosciute ai fondi producono un minor gettito Irpef e un minor gettito contributivo. Il minor gettito Irpef è posto a carico dell’intera collettività di contribuenti, compresi coloro che non aderiscono ad alcun fondo. Il minor gettito contributivo è invece posto a carico dei lavoratori aderenti al fondo sanitario che potranno contare, in vista della loro pensione, su un minor ammontare di versamenti effettuati.
Dal punto di vista dei produttori di prestazioni sanitarie (tecnologie, materiale di consumo, accertamenti diagnostici, ecc.), i fondi modificano la domanda di servizi sanitari, in termini quantitativi per effetto del moral hazard, e in termini qualitativi sulla base dell’offerta dei piani sanitari, contrastando così gli effetti delle politiche pubbliche volte a moderare i consumi, in particolare di alcune specifiche tipologie di prestazioni. Non a caso infatti proprio i settori produttivi interessati all’espansione del loro mercato (ad esempio i chimici) hanno istituito negli anni importanti fondi di assistenza sanitaria.
Dal punto di vista del Servizio sanitario nazionale, i fondi sanitari possono allentare le difficoltà del settore pubblico a garantire — in questo particolare momento storico — adeguate condizioni di accesso ai servizi ma, proprio per questo, possono indurre i decisori a sottovalutare gli effetti che nel medio periodo possono prodursi sull’equità del sistema. La segmentazione delle coperture, un più stretto collegamento fra tutela della salute e condizione occupazionale, le differenziazioni dei percorsi assistenziali su base categoriale indeboliscono infatti l’uniformità delle risposte sanitarie e affievoliscono le voci a difesa di una migliore qualità dell’offerta pubblica. D’altro canto, i responsabili delle politiche pubbliche, sempre meno impegnati nella tutela della salute a tutti i livelli di governo, hanno finito col trovare una sorte di assoluzione rispetto alle proprie responsabilità nella presenza di fondi in grado di offrire ad una parte della popolazione risposte alternative alle carenze del pubblico.
Dal punto di vista dell’efficienza complessiva del sistema, i fondi producono un eccesso di coperture assicurative, in particolare nei confronti di specifici rischi di spesa (visite specialistiche e accertamenti diagnostici). Nei confronti di tali spese, il cittadino si può trovare ad avere contemporaneamente tre diverse coperture: quella pubblica del Ssn, quella implicita della detrazione d’imposta al 19% e quella offerta dai fondi sanitari. In tale situazione si produce una perdita di benessere per la collettività, ampiamente studiata con riferimento alla realtà statunitense, con effetti distorsivi sulle scelte del consumatore, di aumento del mercato delle prestazioni sanitarie per effetto del moral hazard e di progressiva crescita dei prezzi delle coperture assicurative.
Dal punto di vista redistributivo, le agevolazioni fiscali favoriscono specifici gruppi di popolazione: i lavoratori dipendenti rispetto a chi non è occupato, con reddito medio alto (le agevolazioni sono crescenti al crescere del reddito), fortemente omogenei come categoria e interessati a forme di remunerazione in natura (fringe benefit). Discriminano a favore delle grandi imprese che, grazie ai grandi numeri, possono affrontare meglio il rischio di selezione avversa nel pooling dei rischi e beneficiare di maggiori economie di scala nella gestione dei fondi.
Nel complesso i fondi sanitari agevolati fiscalmente producono effetti redistributivi e allocativi che non migliorano il benessere della collettività, in particolare non migliorano la condizione dei meno abbienti, destinati a fruire di prestazioni sanitarie non uniformi rispetto al resto della popolazione. Concorrono a indebolire il Ssn, offrendo soluzioni solo apparentemente poco costose ed efficaci, e contribuiscono a legittimare le equivoche decisioni di chi depotenzia la sanità pubblica, in realtà meno costosa e più efficace. La recente spinta allo sviluppo del welfare aziendale merita una attenta valutazione prima che gli effetti in termini di equità e di efficienza diventino consistenti e sia più difficile intervenire nell’interesse della collettività.
3. Fondi sanitari e Lea
Fondi sanitari e livelli essenziali di assistenza sono due argomenti presenti nel dibattito corrente ma ancora poco approfonditi soprattutto nelle loro possibili interrelazioni. Due temi che, a 40 anni dall’istituzione del Servizio sanitario nazionale, testimoniano la continua evoluzione del sistema, la sua crescente complessità e le insidiose strategie dei settori interessati a nuovi spazi di mercato.
I Lea testimoniano quanto il servizio sanitario costituisca effettivamente la punta avanzata della pubblica amministrazione: definiscono i diritti dei cittadini, specificando ciò che il Ssn deve assicurare, in condizioni di uniformità e con risorse pubbliche. Il decreto di aggiornamento dei Lea, entrato in vigore il 19 marzo 2017, conferma la capacità del settore sanitario di rinnovarsi14, nonostante la sua crescente complessità e a dispetto del ritardo con il quale stanno procedendo tutti gli altri ambiti tenuti — in base all’articolo 117 della Costituzione — a definire livelli essenziali delle prestazioni. Purtroppo però i nuovi Lea sono ancora in gran parte fermi al punto di partenza. Il blocco è legato al fatto che, affinché le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica su misura possano essere effettivamente erogate, è necessario che siano definitivamente approvati i decreti di fissazione delle tariffe massime da corrispondere agli erogatori pubblici e privati. Tali decreti sono fermi al Ministero dell’economia e delle finanze perché ritenuti non compatibili con le risorse disponibili. Il risultato è che, fatte salve le prerogative delle Regioni che potrebbero anticipare l’entrata in vigore di parte dei provvedimenti, sono ancora erogate le prestazioni previste nei precedenti provvedimenti. Nel frattempo, avanza l’ipotesi di una revisione in senso riduttivo dei Lea, al fine di contenere la spesa, in particolare nel settore della specialistica ambulatoriale che, come discusso in precedenza, è di grande interesse per i fondi sanitari. L’esclusione esplicita di un ambito così importante per la tutela della salute pare ancora oggi non praticabile sul piano politico, ma il rischio di un dibattito condizionato solo da esigenze di finanza pubblica è comunque elevato, a maggior ragione se si considera la crescente aggressività dell’intermediazione finanziaria assicurativa. Un eventuale intervento volto a legare ulteriormente l’accesso a parte dell’assistenza specialistica alla condizione lavorativa dell’individuo potrebbe avere, nel medio periodo, importanti effetti sulla salute della popolazione, sulla coesione sociale e sulle diseguaglianze sociali a danno dei più deboli.
L’attuale sviluppo dei fondi sanitari testimonia la necessità di una strategia volta a contenere le inefficienze connesse alla compresenza di sovra-assicurazione e sotto-assicurazione di specifiche tipologie di rischio. A tal fine è fondamentale la ridefinizione dell’ambito di azione dei fondi, in modo da evitare duplicazioni e consumismo sanitario; armonizzare l’offerta di prestazioni ai principi di appropriatezza e sicurezza previsti per i Lea; individuare soluzioni che rendano possibile la protezione di quei rischi che ad oggi non trovano adeguata copertura (a partire dalla non autosufficienza) e rivedere il regime delle agevolazioni fiscali in modo da evitare oneri a carico della collettività quando non giustificati da benefici addizionali a favore della collettività stessa. Ancora una volta il monito di Tina Anselmi non va ignorato.


Conflitto di interessi Nessuno

Autore per la corrispondenza
Nerina Dirindin, nerina.dirindin@unito.it

Ricevuto su invito 11 marzo 2019
Note
 1Si tratta di 322 fondi che comprendono: a) fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, istituiti o adeguati ai sensi dell’art. 9 del d.lgs 20 dicembre 1992, n. 502 e smi; b) enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fini assistenziali ex art. 51, c. 2, lett. A) del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 e smi. In questa sede, per semplicità, con il termine fondi sanitari si ricomprendono entrambe le tipologie di istituti.
 2L’iscrizione all’anagrafe del Ministero della salute non è obbligatoria (d.m. 27 ottobre 2009). I fondi sanitari iscritti all’anagrafe possono beneficiare del trattamento fiscale agevolato.
 3Il Piano sanitario del Fondo metalmeccanici prevede, ad esempio, la possibilità di eseguire gratuitamente e senza obbligo di ricetta medica il Psa ogni due anni, un accertamento che lo stesso Ablin, inventore del metodo, ritiene non debba essere proposto come screening di massa (Ablin 2016).
 4Il pensiero di Tina Anselmi è chiaramente espresso nello storico documentario Tina Anselmi. La grazia della normalità a cura di Anna Vinci, in cui Anselmi afferma “attenti che nessuna vittoria è irreversibile. Dopo aver vinto, possiamo anche perdere, se viene meno la nostra vigilanza su quel che vive il paese, su quel che c’è nelle istituzioni”. www.raistoria.rai.it/articoli/italiani-tina-anselmi-la-grazia-della-normalita.aspx
 5Il d.lgs. 229/1999 prevedeva un regime fiscale a favore dei fondi integrativi più favorevole rispetto a quello definito per i fondi sostitutivi (in ragione della superiorità dei primi rispetto ai secondi dal punto di vista della politica sanitaria). Nel corso degli anni tuttavia il trattamento fiscale è stato di fatto equiparato. Più recentemente, la legge di bilancio 2017 è intervenuta sul trattamento fiscale dei fondi sanitari di categoria attraverso ulteriori importanti agevolazioni a favore dei premi di produttività aziendali.  
 6Una proposta in tal senso venne ipotizzata dal sottosegretario di Stato e vice ministro con delega alla salute del quarto governo Berlusconi con riguardo alle prestazioni di diagnostica per immagini. L’ipotesi fu immediatamente rigettata dalle regioni in occasione di un incontro presso il ministero della salute.
 7Il superticket è stato introdotto con la l. 296/2006, art. 1, c. 796, lett. P) e subito congelato. Diventa operativo nel 2011 con il d.l. 98/2011.
 8I fondi possono essere costituiti anche da lavoratori non dipendenti (dei 10,6 milioni iscritti ai piani sanitari, circa 1,8 milioni sono lavoratori non dipendenti e loro familiari). In questa sede ci si concentra solo sul caso dei fondi istituiti dai datori di lavoro a favore dei propri dipendenti.
 9Per un operario a tempo indeterminato di una industria di medie dimensioni il risparmio può essere stimato pari all’aliquota dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro, valutabile intorno al 31% del reddito lordo.
10L’accantonamento per il Tfr è pari alla remunerazione annua complessiva diviso 13,5.
11L’indagine campionaria svolta nel 2015 da Assidai, un fondo sanitario dedicato a dirigenti e quadri di oltre un migliaio di imprese, rivela che i manager hanno una conoscenza piuttosto limitata dell’assistenza sanitaria erogata tramite i fondi contrattuali (solo il 52% dichiara di conoscerla in modo più che superficiale) e solo il 23% degli iscritti esprime un giudizio molto positivo. Inoltre solo il 25% di coloro che non sono ancora iscritti a un fondo esprime l’interesse a farlo nel breve periodo (Assidai, 2015).
12Per i fondi l’accesso facilitato ad alcuni trattamenti costituisce una precisa strategia di marketing, attuata a basso costo, finalizzata a creare l’immagine di una copertura che (in netta contrapposizione con il Ssn) non impone all’iscritto alcun ostacolo all’accesso alle prestazioni. Tale fenomeno è simile a quello osservato nel mercato statunitense dove la competizione fra fondi sanitari causa il continuo aumento delle prestazioni erogate.
13Uno dei pochi dati disponibili, per quanto a nostra conoscenza, è quello relativo a tre fondi operanti in Toscana i quali registrano un rimborso medio per iscritto pari al 12% dei contributi versati e spese di gestione pari al 15%; il restante 73% sono profitti o accantonamenti (Ires Cgil e Irpet 2018). Si tratta di dati sorprendenti che testimoniano che i benefici che il lavoratore può mediamente aspettarsi possono essere anche molto modesti.
14Il provvedimento abbraccia una visione di tutela pubblica della salute, assegnando ai Lea il compito di declinare i principi fondamentali dell’universalismo nell’accesso alle cure e della globalità nella protezione sanitaria. Non si tratta quindi, come talvolta erroneamente considerato, di un mero elenco di prestazioni e servizi: il provvedimento affronta questioni che attengono non solo al cosa erogare (il paniere dei servizi offerti), ma anche al come, quando e con quali metodi e strumenti. È costante il richiamo alle più avanzate evidenze scientifiche, il che costituisce una risposta al rischio di semplificazione della complessità proprio di questi tempi.
Bibliografia
Ablin R (2016), Il grande inganno sulla prostata, Milano, Raffaele Cortina Editore.
Assidai (2015), L’identità del manager italiano, il best place to work e l’assistenza sanitaria integrativa, indagine effettuata da Ipsos per Assidai.
Caruso E (2017), Tra le diverse corsie della sanità, in Arachi G e Baldini M (a cura di), La finanza pubblica italiana. Rapporto 2017, Bologna, il Mulino: 131-168.
Dirindin N (2018), È tutta salute. In difesa della sanità pubblica, Torino, Edizioni Gruppo Abele.
Ires Cgil e Irpet (2018), La sanità integrativa contrattuale in Toscana. Prime analisi quali-quantitative, Mimeo.