Segnalazioni


The smoking epidemic across generations, genders, and educational groups: a matter of diffusion of innovations
Di Novi C, Marenzi A
Econ Hum Biol 2019; 33: 155-68

Questo studio cerca di stabilire se il modello della teoria della diffusione delle innovazioni (Tdi) interpreti appropriatamente le variazioni nelle abitudini di fumare che sono avvenute nel tempo tra generazioni, generi e gruppi con diversi livelli di istruzione. Le autrici si concentrano sul caso italiano e impiegano uno pseudo-panel derivato da ripetute sezioni del sondaggio annuale sulle famiglie, Aspetti della vita quotidiana, parte dell’indagine multiuso effettuata dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) per il periodo che va dal 1997 al 2012. Negli anni Sessanta Everett Rogers, riprendendo le cinque categorie di soggetti stabilite da Ryan e Gross in base al loro atteggiamento verso l’innovazione — gli innovatori (innovators), gli anticipatori (early adopters), la maggioranza anticipatrice (early majority), la maggioranza ritardataria (late majority), i ritardatari (laggards) —, cercò di interpretare le caratteristiche distintive di ogni categoria. Rogers mostrò come gli anticipatori e coloro che appartenevano alla maggioranza anticipatrice fossero più inseriti nei meccanismi di comunicazione locale e avessero una più elevata capacità di assumere un ruolo di opinion leader. Questo spinse Rogers a identificare il processo di diffusione come di natura essenzialmente comunicativa, in cui entrano in gioco caratteristiche e orientamenti personali.
La popolarità del tabagismo è cambiata drasticamente nei paesi occidentali. All’inizio del ventesimo secolo, la produzione di massa e la grande pubblicità di sigarette hanno permesso alle compagnie del tabacco di espandere i propri mercati, acquisendo continuamente nuovi clienti. Le coorti più anziane, entrate nell’adolescenza in un periodo storico di accesso crescente alle sigarette, di pubblicità massiva e mancanza di informazioni sulle conseguenze sulla salute, erano facilmente attratte dal fumo. A un certo punto, si è invertita la distribuzione dell’abitudine al fumo tra le classi sociali (Veday TF 2014, Tracing the cigarette epidemic: an age-period-cohort study of education, gender and smoking using a pseudo-panel approach, Soc Sci Res, 48: 35-47). Tra le coorti più giovani, l’associazione tra fumo e basso status socioeconomico si è rafforzata, e fumare è diventato molto diffuso tra i più svantaggiati dal punto di vista economico, emergendo come uno dei fattori più importanti che contribuiscono alle disuguaglianze nell’ambito della salute. I baby boomer sono la più vasta generazione in Italia e anche quella che, pur avendo un maggior accesso al servizio sanitario pubblico e un maggior livello di istruzione, ha più fumatori delle precedenti. La prevalenza si declina differentemente per il genere/livello di istruzione: sono ‘accaniti fumatori’ gli uomini meno in salute nati tra il 1946 e il 1955 (baby boomer 1), meno istruiti e che vivono nel meridione, e le donne meno sane, nate tra il 1956 e il 1965 (baby boomer 2), meno istruite e che vivono nel nord Italia.
I baby boomer rappresentano una sfida significativa e crescente per il Servizio sanitario nazionale dato che l’uso del tabacco può aumentare significativamente il rischio di sviluppare malattie croniche.
In conclusione, i risultati dello studio confermano la Tdi di Rogers, mostrando che la prevalenza del fumo nelle diverse coorti d’età è diminuita nel tempo. Ancora oggi, seppur l’attitudine verso il fumo continui a variare in relazione alle differenze socioeconomiche — soprattutto per le donne — la prevalenza del fumo continua a diminuire: in particolare hanno meno probabilità di fumare gli uomini più giovani con vari livelli di istruzione e le donne più istruite.


Improving health with programmatic, legal, and policy approaches to reduce gender inequality and change restrictive gender norms
Heymann J, Levy JK, Bose B et al
Lancet 2019; 393: 2522-34

Lo studio rivela come circostanze sociali avverse, inclusi svantaggi nell’educazione, povertà e cattive condizioni di lavoro, aumentino la morbilità e la mortalità, come sostenuto dalla vasta letteratura pubblicata, ben sintetizzata dall’Organizzazione mondiale della salute. Numerose rilevazioni dimostrano una significativa disuguaglianza di genere. Ad esempio, si stima che cinque milioni di ragazze siano costrette — a differenza dei coetanei maschi — a interrompere il percorso di studi dopo le elementari. Non solo: in ambito lavorativo, a parità di ruoli, responsabilità e incarichi, il reddito massimo per le donne corrisponde al 77% di quello dei colleghi maschi e la loro partecipazione complessiva alla forza lavoro si attesta al 48,5%, mentre sono solo una minoranza tra gli amministratori delegati del settore privato e sono presenti in basse percentuali nei parlamenti nazionali. Le disuguaglianze di genere e gli squilibri di potere influiscono marcatamente sulle relazioni interpersonali e sull’agire individuale. Un sondaggio del 2018 su 54 paesi ha rilevato che quattro donne su cinque non hanno avuto un ruolo nell’affrontare aspetti critici nelle relazioni familiari. La questione della disuguaglianza di genere incide, a livello globale, sull’assistenza e sulle responsabilità familiari. Quando le donne ricevono salari, pensioni o protezioni sociali più bassi rispetto agli uomini, lo svantaggio non colpisce solo loro ma anche le loro famiglie, che hanno meno risorse e meno soldi da investire nella salute e nell’educazione dei figli.
Questo documento si concentra su approcci che mirano a ridurre le disparità e che promuovono norme che favoriscano l’uguaglianza di genere.
Gli autori indagano anche su riforme della governance volte ad affrontare in modo positivo questa problematica e che possano influenzare l’emanazione di leggi, politiche e programmi per il miglioramento della parità fra i sessi, sottolineando che l’efficacia degli interventi prevede che i governi si focalizzino su di una maggiore uguaglianza di genere: di fatto, i risultati dimostrano come specifiche scelte politiche e programmi correttamente implementati possano trasformare norme ormai vetuste e poco coerenti con la realtà sociale attuale.


Another look at the comparisons of the health systems expenditure indicators
Lopez-Casasnovas G, Maynou L, Saez M
Soc Indic Res 2015; 121: 149-75

In Italia, prima dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale, il modello sanitario era ‘di tipo Bismarck’, basato su numerosi enti mutualistici (o casse mutue). Ciascun ente era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti allo stesso ente e, in questo modo, fruivano dell’assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro. Il diritto alla tutela della salute era correlato allo status di lavoratore con conseguenti casi di mancata copertura e sperequazioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle prestazioni assicurate dalle varie casse mutue.
Verso la metà degli anni Sessanta, il sistema mutualistico entra in una profonda crisi finanziaria determinata dall’estensione dei benefici a nuove categorie senza adeguata copertura finanziaria. L’aumento sproporzionato della spesa sanitaria, e gli ingenti debiti accumulati dagli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, conducono all’emanazione della legge 17 agosto 1974, n. 386, con la quale si estinguono i debiti maturati nei confronti degli enti ospedalieri e vengono commissariati gli enti mutualistici, che verranno in seguito sciolti. Viene istituito il Fnao (Fondo nazionale per l’assistenza ospedaliera) per il finanziamento della spesa ospedaliera, una sorta di anticipazione del Fsn (Fondo sanitario nazionale). Nel 1978 l’Italia passa da un sistema mutualistico (modello Bismarck) ad un Servizio sanitario nazionale tax-founded e a copertura universale (modello Beveridge). Ispirato al National health service (Nhs) britannico, il Ssn fu istituito con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, che introdusse la cosiddetta ‘riforma sanitaria’.
Spesso leggiamo rapporti in cui vengono messi a confronto i dati sulla spesa sanitaria di paesi caratterizzati da modelli di sanità molto diversi. Ad esempio, nel rapporto Health at a glance pubblicato dall’Ocse ogni anno, vengono comparati i dati della spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo tra paesi con grado di sviluppo diverso, o caratterizzati da un livello più o meno ampio di intervento pubblico nel settore sanitario, o con sistemi di finanziamento del settore sanitario diversi. L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare i fattori che complicano la comparazione internazionale della spesa sanitaria. Gli autori analizzano tutto il campione completo di paesi dell’Ocse la cui configurazione in termini di modello di sanità si differenzia notevolmente e che comprendono Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Islanda, Irlanda, Israele, Italia, Giappone, Corea, Lussemburgo, Messico, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Gran Bretagna e Stati Uniti, per il periodo 1960-2011. Il focus è in particolare l’analisi dei fattori che rendono difficile la comparazione della spesa sanitaria tra i paesi caratterizzati da un sistema di tipo Bismarck e quelli caratterizzati da un sistema di tipo Beveridge: i primi sono serviti da sistemi sanitari fondati originariamente su una struttura decentralizzata, di tipo mutualistico-assicurativo, che affonda le sue radici nel sistema previdenziale istituito dal cancelliere prussiano Otto Bismarck alla fine del secolo scorso. I secondi si avvalgono di un sistema originariamente a struttura fortemente centralizzata ad orientamento pubblico, il cui prototipo è il modello di welfare state universalistico ideato nel 1942 dal parlamentare inglese Lord William Beveridge.


The effect of spending cuts on teen pregnancy
Paton D, Wright L
J Health Econ 2017; 54: 135-46

La crisi finanziaria globale nel 2008 ha portato molti paesi a introdurre una stretta fiscale nel tentativo di ridurre la spesa pubblica e i prestiti. In Inghilterra e Galles una delle principali fonti di tagli alle spese è stata la riduzione delle sovvenzioni erogate dal governo centrale alle autorità locali. Date le forti restrizioni alle capacità decisionali locali, i gestori del settore pubblico hanno dovuto operare significativi tagli discrezionali alle spese a livello locale.
In questo articolo si esamina l’impatto dei tagli alle spese in un’area specifica: le gravidanze tra adolescenti.
In molti paesi le alte percentuali di gravidanze adolescenziali sono state a lungo viste come un problema significativo per la salute pubblica. È questo il caso del Regno Unito, che storicamente ha avuto uno dei tassi di gravidanza tra le adolescenti più alto al mondo. Per affrontare il problema, nel 1999 il governo del Regno Unito ha lanciato la Teenage pregnancy strategy, un importante programma volto a dimezzare la possibilità di rimanere incinta prima dei 18 anni. La strategia prevedeva un miglior accesso all’educazione sessuale e alla contraccezione per i giovani. I servizi di sostegno alle gravidanze adolescenziali sono stati vittima, in modo significativo, dei recenti tagli alle spese del governo locale, con un probabile effetto negativo sui tassi di gravidanza delle adolescenti. Tuttavia, la letteratura empirica e teorica contraddice i risultati positivi della pregnancy strategy, rilevando un aumento di atteggiamenti sessualmente rischiosi nonostante un aumento dell’uso dei contraccettivi e l’assenza di una correlazione positiva tra educazione sessuale e diminuzione significativa di gravidanze precoci.
Obiettivo di questo studio è capire le conseguenze dei tagli ai servizi relativi alla gravidanza in età adolescenziale e i risultati, contrariamente a quanto ipotizzabile da parte di politici e organizzazioni che lavorano nel campo, suggeriscono che le aree locali che hanno imposto tagli più consistenti ai progetti volti a ridurre le gravidanze adolescenziali hanno, in media, sperimentato diminuzioni più rapide nei tassi di gravidanza delle adolescenti. Questi risultati devono essere interpretati con cautela: sebbene gli effetti siano statisticamente significativi, l’entità stimata dell’impatto sui tassi di concepimento è piccola. Inoltre, va detto che il nostro approccio empirico stima l’effetto marginale dei cambiamenti nei finanziamenti ai servizi coordinati e mirati agli adolescenti. L’analisi infatti non prende in considerazione direttamente l’effetto dei tagli a servizi più generali (ad esempio, quelli forniti dai medici di base), accessibili anche agli adolescenti. Inoltre, se i tagli ai finanziamenti fossero attuati in modo efficiente, i progetti meno efficaci dovrebbero essere tagliati per primi.
Questo risultato viene spiegato in vari modi dagli autori. Per esempio, un più difficile accesso alla contraccezione può aver spinto le/gli adolescenti a una prudenza maggiore rispetto ai rischi derivanti da attività sessuali non protette. Un’altra spiegazione, forse complementare, è che le ridotte sovvenzioni pubbliche ai servizi per le/gli adolescenti potrebbero aver portato alla scelta di servizi alternativi, finanziati pubblicamente o privatamente. In conclusione, i risultati suggeriscono di considerare la possibilità che taluni aspetti comportamentali indotti dai tagli di bilancio possono potenzialmente mitigare alcune o tutte le conseguenze negative dirette dei tagli.


Rising opioid-related deaths in England and Scotland must be recognised as a public health crisis
Kimber J, Hickman M, Strang J et al
Lancet Psychiatry, 2019 Jun 11, doi: 10.1016/S2215-0366(19)30209-3 (epub ahead of print)

Nel 2017 in Inghilterra e in Scozia il numero di avvelenamenti da abuso di oppiacei è stato il più alto mai registrato. I decessi correlati agli oppioidi fanno aumentare fortemente il numero di morti per droga. Nel 2017 sono stati registrati in Scozia 815 decessi correlati agli oppiacei (il doppio di quelli registrati nel 2007), e 1829 in Inghilterra (il 40% in più dal 2007). Questo marcato aumento della mortalità deve essere inevitabilmente riconosciuto come una crisi sanitaria pubblica.
Le morti legate agli oppioidi nella popolazione dipendono da due fattori chiave: la prevalenza di abuso di oppiacei e la correlazione col rischio di mortalità nelle persone che usano oppioidi. Sono diversi i fattori che possono aumentare il rischio di mortalità, tra cui l’uso di siringhe per l’iniezione di droghe e l’uso concomitante di depressori del sistema nervoso centrale (ad esempio alcol, benzodiazepine o gabapentinoidi) ed esposizione ad oppiacei sintetici molto potenti.
Il rischio di mortalità può essere ridotto principalmente attraverso il trattamento con alternative al farmaco, ma anche attraverso interventi ausiliari come la distribuzione del naloxone, strutture di controllo dove effettuare l’iniezione e, potenzialmente, restrizioni sulla disponibilità di prescrizioni di oppioidi per i dolori cronici non oncologici.
Lo studio rileva come in pochi paesi siano attivi sistemi di sorveglianza della salute pubblica in grado di valutare quale scelta politica o sociale abbia un impatto su ogni aumento o declino del numero di morti. Inoltre, non è concordata la definizione della soglia per la mortalità correlata agli oppioidi, oltre la quale i funzionari della sanità pubblica dovrebbero dichiarare una crisi e chiedere ulteriori azioni.
Non ci sono prove che l’aumento dei decessi correlati agli oppioidi in Inghilterra e in Scozia derivi da un corrispondente aumento della prevalenza dell’uso di oppiacei. Le spiegazioni proposte per questo aumento di morti sono differenti e includono, a esempio, una coorte di invecchiamento di consumatori di oppioidi con comorbidità multiple ed esigenze complesse, come anche esacerbazione correlata alle disuguaglianze sanitarie.
Le differenti politiche e le strategie intraprese hanno fallito, sebbene l’ultima strategia scozzese preveda come priorità di salute pubblica la riduzione dei decessi correlati a droga e alcol.
In conclusione, gli autori sottolineano la necessità di una maggiore innovazione, di una espansione di interventi evidence-based e di una sorveglianza rafforzata.
Nel frattempo, la strategia inglese rimane invariata e non stabilisce nuove misure per affrontare le morti correlate agli oppioidi, nonostante gli indicatori dei decessi per droga dimostrino un tasso molto elevato.


Health targeted in Sudan’s political transition
Devi S
Lancet 2019; 393 (10189): 2380

Dopo la fine del governo di Omar al-Bashir, durato trent’anni, in Sudan hanno preso il potere alcuni membri del consiglio militare provvisorio del governo di transizione, promettendo elezioni democratiche entro due anni. L’associazione dei professionisti sudanesi ha indetto una manifestazione, cercando di coinvolgere più persone possibili e richiedendo al governo di velocizzare la transizione verso la democrazia.
L’esercito è però intervenuto con una incursione sfociata in repressione, facendo irruzione nel campo del gruppo di protestanti e negli ospedali di Khartoum, ferendo e uccidendo centinaia di persone. Si stima che 300 persone soccorse siano state colpite da proiettili, percosse con manganelli o frustate. Sul conteggio dei morti, l’opposizione del governo sudanese riporta un numero che è ben oltre le dichiarazioni ufficiali.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha esortato il Sudan a porre fine alla violenza contro operatori sanitari, malati e attivisti pacifici. L’Oms spiega che le incursioni negli ospedali di Khartoum hanno obbligato al trasferimento di molti pazienti, alla chiusura di molti reparti d’emergenza e al ferimento di alcuni medici. Sono stati denunciati stupri di operatrici sanitarie, sono stati appiccati fuochi a cliniche mobili, e sono state rubate diverse attrezzature mediche.
Gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Norvegia hanno accusato il consiglio militare provvisorio di mettere a repentaglio la pace e la fase di transizione politica e hanno dichiarato: «il popolo del Sudan merita una transizione ordinata, guidata da civili, che può stabilire le condizioni per elezioni libere ed eque». Paesi come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti hanno avuto una reazione differente, offrendo 3 miliardi di dollari per aiutare le forze armate sudanesi dopo che Al-Bashir è stato obbligato a dimettersi.
Il 4 giugno, a Londra, durante la conferenza stampa del Royal college of pathologists, Hussam Almujammer, membro dell’unione dei medici sudanesi, ha dichiarato che già da molto tempo i militari hanno preso di mira gli ospedali e il personale sanitario in diverse parti del Sudan — in particolare in Darfur, monti Nuba, e Nilo azzurro — attaccando sistematicamente gli ospedali e picchiando brutalmente il personale medico.
L’ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) rivela che due importanti ospedali a Khartoum e un altro grande ospedale a Omdurman hanno smesso di accogliere feriti nei loro pronto soccorso perché il personale medico è stato intimidito dalle forze di sicurezza. La situazione è drammaticamente aggravata dalla diffusa carenza di medicine, in particolare i salvavita e i farmaci per le donne in gravidanza. Di fatto, già nel 2018 le importazioni di medicinali in Sudan erano diminuite del 30% rispetto al 2017 a causa di una svalutazione della valuta nazionale.
Le proteste sono continuate con una campagna di disobbedienza nazionale civile e molte attività commerciali sono rimaste chiuse.