Dettagli Luglio-Settembre 2008, Vol. 9, N. 3 doi 10.1706/388.4572 Scarica il PDF(47,3 kb) Citazione Ballini L. Il ‘si deve e non si deve’ delle linee guida per la pratica clinica. . doi 10.1706/388.4572 Scarica la citazione: BibTex EndNote Ris Altro dagli autori Articoli di Luciana Ballini Il ‘si deve e non si deve’ delle linee guida per la pratica clinica titolo - split_articolo,controlla_titolo - art_titolo Il ‘si deve e non si deve’ delle linee guida per la pratica clinica autori - vau_aut_id Luciana Ballini affiliazione_autori - ignora Agenzia sanitaria e sociale regionale, Regione Emilia-Romagna testo - art_testo Le difficoltà a trasferire nella pratica clinica linee guida e raccomandazioni basate sulle evidenze scientifiche sono responsabili di uno dei più importanti blocchi al flusso che dovrebbe portare i risultati della ricerca biomedica fino all’assistenza sanitaria. Secondo un’altra metafora (Green, 2008), che descrive il cammino delle scoperte scientifiche dal laboratorio ai pazienti come una conduttura dell’acqua, il momento dell’implementazione è concettualizzato sotto forma di grossa falla attraverso la quale fuoriescono e vanno perduti importanti conquiste e risultati della scienza. L’implementazione di raccomandazioni per la pratica clinica è un processo che – come tutti i processi che introducono cambiamenti e innovazioni – prevede l’identificazione dei fattori di ostacolo e favorenti il cambiamento e la scelta e utilizzo di strategie o interventi per rimuovere i primi e potenziare i secondi. Parallelamente all’attività di valutazione e sintesi critica dei risultati dei trial clinici – revisioni sistematiche e metanalisi – si è sviluppata negli ultimi 15 anni un’attività analoga per gli studi sull’implementazione di linee guida. In particolare il gruppo EPOC (Effective Practice and Organization of Care; http://www.epoc.cochrane.org/en/index.html) è impegnato da tempo nella produzione di revisioni sistematiche di studi che valutano l’efficacia degli interventi sperimentati per facilitare l’adozione delle raccomandazioni da parte di medici e pazienti. Secondo la logica che guida la valutazione dell’efficacia, le strategie di implementazione sono studiate come dei veri e propri interventi ‘terapeutici’ che agiscono sui determinanti del comportamento e, si ipotizza, riescono a modificarlo. A scadenze abbastanza regolari il gruppo EPOC ha anche prodotto rapporti (Bero et al, 1998; Grimshaw et al, 2001, Grimshaw et al, 2004) che riportano i risultati di queste revisioni sistematiche per tipologia di intervento, differenziate secondo una tassonomia sviluppata dal gruppo stesso. Questo grosso lavoro, condotto in maniera estremamente rigorosa, purtroppo non è stato in grado di fornire indicazioni conclusive: nei migliori dei casi gli effetti dimostrati degli interventi studiati non superano quasi mai la soglia dell’‘impatto moderato’ e questo risultato è ulteriormente indebolito dall’eterogeneità dei risultati prodotti dagli studi presi in considerazione. Questo deludente risultato – definito da alcuni la consistente inconsistenza (‘consistent inconsistency’) (Walshe e Freeman, 2002) della ricerca sull’implementazione – ha diverse motivazioni tra le quali spicca il fatto che gli interventi studiati, pur logicamente appartenenti alla stessa classe tassonomica (interventi educativi, visite di facilitatori, audit e feedback, etc), spesso sono eterogenei e diversi tra loro, e la loro natura complessa contribuisce a rendere improprie le comparazioni o a falsare i risultati. L’altro punto altrettanto importante è il contesto organizzativo nel quale vengono realizzati gli interventi, che ne condiziona l’efficacia al punto da suggerire l’analisi e valutazione, più che dell’intervento stesso, di chi lo realizza e di come viene messo in atto. Nell’ultimo rapporto del gruppo EPOC, pubblicato nel 2004 (Grimshaw et al, 2004), gli autori concludono che “manca un assunto teorico sui fattori di ostacolo e sui fattori facilitati al cambiamento e sui possibili meccanismi causali che determinano la scelta degli interventi”. La raccomandazione per la ricerca futura è quindi di “esplorare i determinanti del comportamento degli erogatori di prestazioni sanitarie per meglio identificare i modificatori di tale comportamento”. Si è di recente aperto quindi un nuovo filone di ricerca che si avvale di metodologie diverse sia quantitative, di misurazione degli effetti di un intervento, sia qualitative, mirate ad esplorare le motivazioni alla base del cambiamento e delle resistenze al cambiamento. Un tentativo di integrare i risultati quantitativi con l’analisi qualitativa è stato effettuato da B. Carlsem, C. Glenton e C. Pope in una revisione sistematica (Carlsen et al, 2007) degli studi che documentano l’implementazione di linee guida in medicina generale e che offre una meta-sintesi dei risultati. Il focus della loro revisione – dal titolo Thou shalt versus thou shalt not: a meta-synthesis of Gps’ attitudes to clinical practice guidelines – è appunto l’analisi delle barriere o difficoltà riscontrate dai medici di medicina generale nell’applicare le linee guida. Dall’analisi emergono 6 temi principali che classificano le tipologie di barriere: 1. scetticismo verso le linee guida, dovuto al ritenere i risultati dei trial clinici difficilmente generalizzabili ai singoli pazienti; 2. tensione tra quanto raccomandato dalle linee guida e quanto documentato dalla propria esperienza professionale; 3. ingerenza delle linee guida nel rapporto fiduciario tra medico e paziente; 4. appello al proprio senso di responsabilità associata al timore di negare prestazioni utili; 5. aspetti pratici legati alla mancanza di tempo, di risorse e di competenze specifiche; 6. scarsa leggibilità e comprensibilità delle linee guida. Questi temi, per niente nuovi e spesso riportati dagli studi sull’implementazione, sono stati ulteriormente analizzati dagli autori, che li hanno incrociati con altre variabili allo scopo di individuare possibili associazioni e trend di comportamento. Attraverso questa analisi hanno distinto due gruppi di raccomandazioni: quelle che incoraggiano l’utilizzo di nuovi interventi o prestazioni – raccomandazioni prescrittive – e quelle che invece scoraggiano o richiedono la sospensione di interventi o prestazioni – raccomandazioni restrittive. Non sorprendentemente alle due tipologie di raccomandazioni corrispondono diverse tipologie di barriere. Quelle prescrittive sono associate a un maggiore scetticismo e a una maggiore rilevanza data agli aspetti pratici (mancanza di tempo, etc), mentre per contrastare quelle restrittive i medici si appellano al senso di responsabilità e al timore di perdere il rapporto di fiducia con il proprio paziente. Gli autori rimarcano l’importanza di conoscere esattamente la tipologia di barriera da affrontare per poter mettere a punto strategie adeguate. Tuttavia è difficile soprassedere alla circolarità dei risultati: come mai il senso di responsabilità si risveglia se viene richiesto di non fare qualcosa, mentre rimane inerme se viene richiesto di intervenire? Come mai lo scetticismo verso i risultati della ricerca non è accompagnato da una simile ri-valutazione critica della propria esperienza? La contraddittorietà è però solo apparente in quanto ogni singola raccomandazione andrebbe analizzata in funzione delle reazioni che provoca e il contributo di studi come questo consiste nel supportare e orientare l’analisi dei fattori di ostacolo presenti nel proprio contesto e tra i propri professionisti, oltre che ad indicare un nuovo modo di leggere e utilizzare gli articoli che documentano esperienze locali di implementazione. Un’altra revisione sistematica pubblicata di recente (Godin et al, 2008) analizza gli studi sull’implementazione basati sulle principali teorie del comportamento e riconosce due principali determinanti del comportamento dei professionisti sanitari: la percezione della propria capacità e competenza nel mettere in pratica quanto raccomandato e la valutazione delle conseguenze dirette della raccomandazione. Questi due elementi sono quindi in grado di spiegare le resistenze sia alle raccomandazioni prescrittive che a quelle restrittive. Rimane però da ricordare, come sottolineano gli autori di questa ultima revisione, che solo il 28% della variabilità nel comportamento è spiegata dalla decisione o intenzione del singolo di adottare un dato comportamento. Ciò significa che le barriere poste dall’organizzazione e gestione dei servizi rimangono un elemento cruciale alla base del mancato trasferimento della ricerca nella pratica e che devono essere investigate con uguale rigore e meticolosità. biblio_titolo - ignora Bibliografia bibliografia - art_bibliografia Bero LA, Grilli R, Grimshaw J et al (1998): Closing the gap between research and practice: an overview of systematic reviews of interventions to promote the implementation of research findings, BMJ, 317: 465-468. Carlsen B, Glenton C, Pope C (2007): Thou shalt versus thou shalt not: a meta-synthesis of Gps’ attitudes to clinical practice guidelines, Br J Gen Pract, 57: 971-975. Godin G, Bellanger-Gravel A, Eccles M, Grimshaw J (2008): Healthcare professionals’ intentions and behaviours: a systematic review of studies on social cognitive theories, Implement Sci, 3: 36. Green LW (2008): Making research relevant: if it is an evidence-based practice, where’s the practice-based evidence? Fam Pract, Advance Access 15 Sept. Grimshaw JM, Shirran L, Thomas R et al (2001): Changing provider behaviour. An overview of systematic reviews of interventions, Med Care, 39 (suppl 2): II2-II45. Grimshaw JM, Thomas RE, MacLennan G et al (2004): Effectiveness and efficiency of guideline dissemination and implementation strategies, Health Technol Assess, 8 (6). Walshe K, Freeman T (2002): Effectiveness of quality improvement: learning from evaluation, Qual Saf Health Care, 11: 85-87.