Gli esiti ‘surrogati’ della partecipazione dei cittadini alla ricerca
Luciana Ballini
Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale
Regione Emilia-Romagna

Nella sua lettera a The Lancet del novembre 2011, pubblicata in veste di editoriale anche dalla Cochrane Library a gennaio 2012, Alessandro Liberati sottolinea che, nonostante la ricerca clinica abbia lo scopo di migliorare la cura e il benessere delle persone, le occasioni in cui i pazienti sono riusciti a influenzarne l’agenda costituiscono rare eccezioni.
Alcuni ricercatori del Medical Research Council (MRC) inglese hanno appena pubblicato i risultati di uno studio sul livello di coinvolgimento dei consumatori (consumers) in progetti di ricerca – studi clinici randomizzati e revisioni sistematiche – finanziati dall’MRC stesso*. L’esigenza di questa valutazione deriva dall’impegno che l’MRC ha dedicato a questo aspetto fin da quando – nel 1998 – ha pubblicato le sue linee guida sulla buona pratica della sperimentazione clinica, raccomandando l’inclusione dei consumatori nelle commissioni dei singoli studi. Da allora queste raccomandazioni si sono tradotte in sempre più dettagliate linee di indirizzo per il pieno coinvolgimento dei consumatori nella ricerca clinica, con anche la messa a disposizione di strumenti pratici, come ad esempio complete job description per il loro reclutamento. Lo studio, pubblicato su Trials del gennaio 2012, mira a fare il punto sulle ricadute ottenute da questi sforzi, valutando sia l’entità del coinvolgimento dei pazienti negli studi coordinati dalle Unità di Studi Clinici (CTU) dell’MRC, sia la percezione dei ricercatori sull’impatto di questa partecipazione, al fine di migliorarne ulteriormente gli strumenti di attuazione.
Tra il 2009 e il 2010 sono stati intervistati – tramite questionari – ricercatori responsabili di studi condotti negli ultimi venti anni e sono stati raccolti dati per un totale di 138 studi. Per coinvolgimento dei consumatori si intende il coinvolgimento attivo – in veste di partner nel processo della ricerca e non come meri soggetti della ricerca – di pazienti, familiari, utilizzatori dei servizi sanitari, rappresentanti o membri di organizzazioni di pazienti. Dei 138 studi – iniziati tra il 1989 e il 2009 – il 50% è su malattie oncologiche, il 30% sull’HIV e il rimanente 20% su altre patologie. I consumatori sono risultati coinvolti solo nel 31% degli studi, per un totale di 43 su 138, la maggior parte dei quali avviati dopo il 2005. Al di là dei numeri, che comunque testimoniano un trend decisamente in crescita negli ultimi anni, lo studio è interessante per le riflessioni che suscita su questo tema.
La maggior parte degli studi ha incluso nel proprio comitato di indirizzo un numero di pazienti inferiore a tre che, nel 72% dei casi, è stato identificato attraverso conoscenze personali dei ricercatori. In genere il ruolo di consumatore viene ricoperto da persone che hanno avuto contatti diretti con qualcuno del team nel corso della malattia propria o di un proprio familiare. Solamente uno studio ha tentato di reclutare pazienti attraverso un avviso pubblico.
Tra le motivazioni fornite a sostegno della decisione di includere i consumatori nel comitato di indirizzo dello studio, la maggioranza dei ricercatori ha riportato semplicemente che “è la cosa giusta da fare”, ma alcuni hanno anche dichiarato che era essenziale per poter reclutare il numero necessario di pazienti. Solamente in due casi è stata sottolineata la necessità di saperne di più sulla malattia e sulla popolazione interessata.
Le attività e i compiti assegnati più di frequente ai consumatori sono la scrittura o revisione della documentazione e del materiale informativo destinati ai pazienti e l’attività di promozione dello studio. Solamente in 14 studi i consumatori hanno partecipato ad alcune fasi dello sviluppo del protocollo e solamente in 9 all’interpretazione e disseminazione dei risultati.
Dal resoconto della percezione che i ricercatori hanno sull’utilità di questo coinvolgimento emerge che l’impatto è percepito sempre come positivo, ma per i seguenti motivi:
• incremento nel reclutamento dei pazienti, grazie alle delucidazioni che i consumatori sono in grado di dare rispetto a motivi per i quali i pazienti potrebbero non acconsentire a far parte dello studio e grazie ai validi suggerimenti negli aspetti della conduzione dello studio che aiutano a migliorarne l’accettabilità;
• miglioramento nella pubblicizzazione dello studio, grazie alla partecipazione alle diverse attività promozionali che, ancora una volta, facilitano il reclutamento dei pazienti;
• ottimizzazione della diffusione dei risultati, grazie al loro contributo nella stesura di documenti riassuntivi per i pazienti;
• perfezionamento del materiale informativo per i pazienti;
• supporto nelle decisioni strategiche relative allo studio, in particolare per le integrazioni apportate al quesito di ricerca principale, ma principalmente nelle revisioni sistematiche della letteratura piuttosto che nei trial.

I commenti alla generale soddisfazione derivata dall’aver fatto una cosa giusta, e anche piuttosto utile per il successo dello studio, sono accompagnati da una lista delle principali difficoltà riscontrate, quali le risorse e il tempo aggiuntivi necessari al coinvolgimento dei consumatori, le difficoltà di questi ultimi a mantenere alta la partecipazione con il progredire della loro malattia e la mancanza di chiarezza rispetto a cosa aspettarsi dai consumatori con conseguente mancanza di una formazione adeguata su come coinvolgerli negli studi clinici.
Traspare quindi una consapevolezza da parte dei ricercatori di un utilizzo strumentale del coinvolgimento dei consumatori negli studi, volto a migliorarne la conduzione in aspetti principalmente operativi, piuttosto che di contenuto scientifico, e soprattutto a incrementarne l’efficienza attraverso il completamento del reclutamento nei tempi richiesti. Non è certo solo attraverso questo tipo di contributo che si può migliorare la qualità e soprattutto la rilevanza clinica della ricerca ed è un limite che sembra confermato nell’aggiornamento dell’agosto 2011 del documento di invito rivolto ai consumatori a partecipare ai Trial Management Group. Nel documento infatti si descrive come gli studi clinici vengano definiti da un gruppo per lo sviluppo (Trial Development Group) che ha la responsabilità di formulare il quesito di ricerca a cui lo studio intende rispondere, di scrivere il protocollo e di presentarlo ai bandi di finanziamento. Nel momento in cui lo studio è finanziato viene costituito il Trial Management Group ed è richiesto il coinvolgimento dei consumatori, per condividere il compito di assicurare che il protocollo sia seguito nei suoi dettagli, che la conduzione del trial risponda ai principi di etica e qualità, di visionare la documentazione, di assistere i centri che reclutano i pazienti e di promuovere il trial. Questa è senz’altro una delle poche iniziative esistenti e funzionanti per il coinvolgimento dei pazienti nella ricerca, e i limiti che presenta nel prevedere e promuovere una efficace influenza dei consumatori sui quesiti di ricerca non esimono dal dover seguire questo valido esempio.
Tuttavia tra gli effetti imputabili all’assenza dei pazienti nelle fasi di sviluppo, di prioritarizzazione e di finanziamento della ricerca clinica c’è anche l’utilizzo degli esiti surrogati nei trial: nella maggioranza dei trattamenti somministrati, nella migliore delle ipotesi, risulta dimostrata un’efficacia solamente nei confronti di esiti surrogati, tralasciando la valutazione di esiti clinici importanti per i pazienti.
Sono in continua crescita gli interventi, nelle riviste biomediche, sulla questione del frequente, quasi esclusivo, ricorso agli esiti surrogati per poter ‘dimostrare’ in tempi brevi e con minori costi l’efficacia di trattamenti, anche in presenza di meccanismi causali tra esiti surrogati e esiti clinici primari poco robusti. È in corso quindi una sensibilizzazione contro l’uso dei surrogati, che si preannuncia una battaglia lunga quanto quella, per altro non ancora vinta, contro l’utilizzo ingiustificato del placebo nei trial. In un recente articolo sull’ idolatria del surrogato (BMJ 2011; 343: d7995) viene sottolineato come le evidenze che si costruiscono sulle false o deboli assunzioni dell’importanza degli esiti surrogati condizionano anche la pratica clinica e le politiche sanitarie. Queste evidenze infatti vengono ‘convertite’ in linee guida per la pratica clinica e, conseguentemente, in misure di qualità dell’assistenza e infine in indicatori di performance. Quindi sarebbe semplicistico ritenere le industrie farmaceutiche come uniche responsabili, ma più onesto riconoscere che tutto ciò è frutto di una convergenza di interessi tra ricercatori, professionisti, accademici, decisori, società scientifiche e aziende produttrici di farmaci e test diagnostici.
L’esigenza del coinvolgimento dei pazienti comincia quindi a farsi pressante anche per gli strumenti più consolidati della Evidence-based medicine – linee guida per la pratica clinica e rapporti di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA) – che fanno della multidisciplinarietà un loro prerequisito essenziale.
Dal Guideline International Network (GIN) arrivano i risultati di un workshop internazionale sul tema della partecipazione dei pazienti e dei cittadini al processo di sviluppo delle linee guida (QSHC 2010; 19: 1-4), mentre la comunità scientifica internazionale dell’HTA si interroga sullo stato dell’arte del coinvolgimento dei pazienti da parte delle agenzie di HTA (Int J Technol Assess Health Care 2011; 27: 131-142). Da entrambe le comunità emergono simili considerazioni sui diversi ruoli che i cittadini possono assumere. Il loro contributo alla comunicazione delle conclusioni e decisioni contenute nei documenti viene ipotizzato come determinante per la diffusione delle raccomandazioni e soprattutto per la loro adesione da parte di professionisti e utenti. Il ruolo consultativo, che consente di ottenere informazioni sulle preferenze e i valori, sulle esperienze dirette di utilizzo di trattamenti e tecnologie, sul livello di accettabilità, viene considerato un modo valido per sopperire alla carenza di dati reperibili in letteratura. Poche sono invece le esperienze di partecipazione all’intero processo di sviluppo di linee guida e rapporti di HTA, comprese le fasi di prioritarizzazione e scelta dell’argomento e di formulazione delle raccomandazioni/decisioni conclusive.
Anche in questo ambito ci si muove quindi in maniera cauta e ambivalente, sottolineando il valore aggiunto del contributo dei cittadini, per poi arenarsi – e concentrarsi quasi esclusivamente – sulle difficoltà relative all’appropriatezza dei metodi di reclutamento e alla formazione necessaria a garantire una piena partecipazione. Un po’ bizzarre appaiono le frequenti preoccupazioni espresse riguardo a possibili influenze e condizionamenti che l’industria potrebbe esercitare sui rappresentanti dei pazienti, visto che con questo stesso tipo di influenze esercitate su altri componenti dei gruppi di lavoro ci si confronta quotidianamente.
Le considerazioni e valutazioni sopra riportate provengono esclusivamente da ricercatori e professionisti del settore ed è evidente l’assenza di un contributo sistematico da parte dei cittadini e dei pazienti. A impostare la questione della partecipazione secondo un approccio integrato è chi ha ricoperto contemporaneamente il ruolo di medico, ricercatore, accademico, paziente e promotore della ricerca clinica. Ciò dimostra come la complessità della questione richieda grandi strategie di governo, a seguito delle quali sviluppare metodologie e tecniche di attuazione. Il dibattito sembra invece prevalentemente dedicato a queste ultime e ancora poco sensibile alle prime.
Come ha sostenuto Alessandro “Solo attraverso il sostegno e l’impegno della [società civile], pazienti e cittadini potranno essere nella posizione di poter ridefinire l’agenda della ricerca”: un intenso e difficile programma di studio e lavoro (come sempre).

Note

*Vale CL, Thompson LC, Murphy C, Forcat S, Hanley B, Involvement of consumers in studies run by the Medical Research Council (MRC) Clinical Trials Unit: results of a survey. Trials 2012; 13: 9.