La valutazione dell’impatto delle aggressioni sul benessere psicologico
del personale sanitario. Uno studio osservazionale

Michele Sanza1, Paola Ceccarelli1, Luca Ballanti2, Alessia Bruno3, Gianluca Iorio4,
Cristina Loddo
4, GB Ivan Polichetti1, Monica Teodorani1
1UO Dipendenze Patologiche, AUSL Romagna - Cesena; 2Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche, AUSL Romagna; 3Psicologa e psicoterapeuta; 4Fondazione Villaggio del Fanciullo, Ravenna

Riassunto. Introduzione. Il fenomeno delle aggressioni subite dagli operatori sanitari sul posto di lavoro ha attratto un crescente interesse a causa delle problematiche organizzative e dei costi sociali che comporta. Le conseguenze individuali delle aggressioni sul posto di lavoro sono sia di tipo fisico che di tipo psichico; le prime sono più note ed evidenti, ma non sempre sono le più importanti. Lo Studio osservazionale per valutare l’impatto delle aggressioni sul benessere psicologico del personale sanitario (Soap) ha preso in esame le conseguenze psichiche delle aggressioni subite da operatori sanitari sul posto di lavoro. Obiettivo. Descrivere l’impatto sul benessere psicologico degli operatori sanitari di aggressioni subite da pazienti e/o familiari di pazienti. Metodi. Studio osservazionale prospettico della durata di due anni, condotto nelle Unità operative dei Dipartimenti di emergenza, medicina interna e salute mentale/dipendenze patologiche dell’Ausl della Romagna, Cesena. Gli episodi di violenza, e il loro impatto sul benessere degli operatori sanitari, sono stati valutati con la Modified overt aggression scale (Moas) e la Scala di valutazione del benessere psicologico dopo l’aggressione (Svbpa). Risultati. Sono state registrate 50 aggressioni nel corso dei 24 mesi dello studio: 35 hanno superato la soglia di gravità (cut off Moas ≥2) per l’attivazione dell’intervento psicologico di rilevazione della sofferenza emotiva con la Svbpa. All’intervista semi-strutturata, entro 96 ore, sono stati segnalati sintomi di tipo cognitivo (n 106), emotivo (n 68) e somatico (n 62). Dopo sei settimane vi è stata una consistente riduzione della sintomatologia. Conclusioni. I dati emersi confermano che le aggressioni subite dagli operatori sanitari si associano a sofferenze psichiche di notevole importanza. Ne deriva la necessità di associare ai programmi di prevenzione della violenza negli ambienti di lavoro specifici interventi volti a ridurne le conseguenze psichiche.

Parole chiave. Benessere psicologico, operatori sanitari, violenza nei luoghi di lavoro,


Abstract. Introduction. Workplace aggressions of healthcare professionals usually have both physical and psychological outcomes; the latter are less recognized even if they are often more important. Aim. The aim of this study is to describe the results of physical aggressions on the wellbeing of  the healthcare professionals. Methods. A two-year observational study was carried out within the Emergency, Mental health and addiction, and Internal medicine units at Bufalini hospital as well as at healthcare units in Cesena (Local health authority in Romagna). Aggressions and their outcomes have been assessed through the Modified overt aggression scale (Moas) and the Psychological wellbeing aftermath of aggressions checklist, an ‘ad hoc’ tool. Results. During the 24-month period 50 aggressions were recorded, of which 35 exceeded the critical cut off of Moas ≥ 2 that triggered psychological interviews based on the Psychological wellbeing aftermath of aggressions checklist. The semi-structured interviews reported an overall emotional discomfort: cognitive symptoms = 106; emotional = 68; somatic = 62. The six-week follow-up showed a significant reduction of the symptoms. Conclusions. Data confirmed that aggressions on healthcare professionals have psychological sequels. The results address the importance to develop violence prevention programs for healthcare professionals and specific psychological interventions for those who have been assaulted in order to prevent more serious psychological consequences.

Key words. Health care workers, psychological well being, workplace violence.

Introduzione
La violenza nei luoghi di lavoro della sanità è un fenomeno critico e in aumento (Bureau of labor statistics 2009; Hegney et al, 2010), sul quale vi è una crescente consapevolezza sia da parte degli operatori sanitari che degli organi istituzionali.
Il Ministero della salute (2008) e alcune Regioni (Emilia-Romagna) (Assr Emilia-Romagna, 2010) hanno prodotto raccomandazioni per la prevenzione e il trattamento della violenza nei luoghi di cura. Numerose ricerche, anche nel nostro paese, hanno indicato che gli episodi di violenza riguardano in modo esteso gli ospedali e i servizi sanitari territoriali (Ministero della salute, 2008; ASSR Emilia-Romagna, 2010; Cerri et al, 2010), anche se le dimensioni più critiche si ritrovano in aree specifiche, quali i servizi di emergenza (Martini et al, 2012; Kowalenko et al, 2013; Gillespie et al, 2014), le attività domiciliari (Camerino et al, 2008), le geriatrie, i servizi di salute mentale (Kay et al, 1988).
I determinanti del fenomeno individuati dal National institute for occupational safety and health (2002) e dalle stesse raccomandazioni ministeriali italiane sono stati confermati da recenti studi (Gilchrist et al, 2011; Edward et al, 2014).
Tra i molteplici fattori individuati vi sono l’insufficienza della formazione degli operatori sulla gestione delle situazioni di emergenza comportamentale (Allen, 2014; American association of occupational health nurses, 2014; Edward et al, 2014), il sovraffollamento (Becattini et al, 2007), l’abuso di alcol e droghe da parte dei pazienti (Crilly et al, 2004) e l’inadeguatezza delle strutture.
Gli episodi di violenza comportano effetti sullo stato di salute degli operatori che a loro volta determinano conseguenze organizzative, sociali ed economiche quali decremento della produttività del personale, assenteismo, congedi per motivi di salute ed elevato turnover (Parkinson, 1997; Jackson et al, 2002; Schmidtke, 2011).
Accanto agli esiti fisici occorre considerare anche le sequele di carattere psicologico che possono esprimersi con sintomi e disturbi, come il disturbo post-traumatico da stress (Gates et al, 2011), il disturbo d’ansia generalizzata e la depressione nelle sue diverse forme categoriali (disturbo distimico, episodio depressivo maggiore) (Steffgen, 2008). Questo studio osservazionale, finalizzato a valutare l’impatto delle aggressioni sul benessere psicologico del personale sanitario (Soap), descrive le conseguenze psichiche delle aggressioni fisiche e/o verbali subite da operatori sanitari sul posto di lavoro. Lo studio Soap, a nostra conoscenza il primo condotto in Italia su questo tema, apre ad una riflessione sulla necessità di migliorare le strategie di prevenzione della violenza nei luoghi di lavoro sanitari e sulle modalità di trattarne le conseguenze individuali.
Materiali e metodi
Lo studio Soap, osservazionale prospettico, è stato condotto in alcune Unità operative del Dipartimento di emergenza (Pronto soccorso - Ps, Punto di primo intervento, Servizio emergenza urgenza 118), del Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche (Servizio tossicodipendenze dipendenze patologiche, Centro salute mentale - Csm, Servizio psichiatrico diagnosi cura - Spdc) e del Dipartimento di medicina interna (Geriatria). La raccolta dati è stata effettuata per 2 anni, dall’1 aprile 2012 al 31 marzo 2014. Lo studio è stato approvato dal Comitato etico aziendale.

Il gruppo di ricerca. Il gruppo di ricerca che ha condotto lo studio era composto da: un medico psichiatra, responsabile scientifico del progetto, un medico psichiatra formatore, un responsabile infermieristico e tecnico con esperienza in tema di gestione del rischio, un coordinatore infermieristico dell’area salute mentale, tre psicologi, di cui uno esperto nella gestione del trauma psichico e due intervistatori, un sociologo responsabile dell’elaborazione dati.

La popolazione dello studio. La popolazione dello studio è costituita dal personale sanitario in forza alle unità operative dei dipartimenti indicati, che nel periodo di riferimento ha segnalato di aver subito, o di avere assistito, a un’aggressione fisica e verbale durante l’attività lavorativa.

Gli strumenti utilizzati. Il numero e la tipologia degli episodi di violenza sono stati identificati attraverso la Modified overt aggression scale (Moas), utilizzata per costituire un sistema di segnalazione degli episodi critici. La Moas, sviluppata negli Stati Uniti come evoluzione della Overt aggression scale (Oas) (Yudofsky, 1986), registra la comparsa di episodi di aggressività e la loro gravità. La Moas è basata sull’osservazione del comportamento aggressivo durante un episodio critico. L’operatore che effettua la rilevazione registra l’accaduto attribuendogli un punteggio, espressione della gravità dell’evento. La scala si articola in quattro sezioni: aggressività verbale, aggressività fisica contro oggetti, aggressività fisica autodiretta e aggressività fisica eterodiretta. Ogni sezione è valutabile, in base alla gravità, su 5 livelli con punteggio da 0 a 4. Il punteggio viene attribuito, da 0 (= nessuna aggressività) a 4 (= atti gravi), nella sezione considerata. Per esempio, nella sezione 3 dell’autoaggressività, il livello 3 viene esemplificato come “ Si procura piccoli tagli, bruciature, escoriazioni o lividi”, il livello 4 come “Si procura lesioni gravi o tenta il suicidio”; nella sezione dell’aggressività diretta verso altri il livello 1 è esemplificato come “Compie gesti di minaccia, spinge le persone, ne afferra gli abiti”, mentre il livello 4 corrisponde a “Attacca gli altri, provocando lesioni gravi (es. fratture, rottura dei denti, tagli profondi, perdita di coscienza”). Il punteggio attribuito in ogni singola sezione corrisponde al punteggio grezzo, che, moltiplicato per un coefficiente, specifico per ogni sezione, fornisce il punteggio ponderato. In questo modo si ottiene una pesatura della gravità dell’episodio che può variare da 2 a 40. La versione italiana della Moas (Margari et al, 2005) è stata validata in uno studio nel corso del quale è stata somministrata a 358 pazienti di lingua italiana: il coefficiente di correlazione tra i diversi somministratori è stato superiore a 0,90; è stato confermato il potere discriminativo dei casi rispetto ai controlli, insieme ad una buona concordanza con la Brief psychiatric rating scale (Bprs) (Roncone et al, 2000).



La presenza di sofferenza psichica è stata rilevata mediante la Scala di valutazione del benessere psicologico dopo l’aggressione (Svbpa) (tabella 2), una check list costruita ad hoc dal gruppo di lavoro per valutare i sintomi cognitivi, affettivi e somatici insorti in seguito all’evento. La Svbpa è stata costruita utilizzando item indicativi di condizioni post-traumatiche, sintomi emotivo-affettivi e somatoformi. La scelta di ricorrere ad uno strumento neoformato è stata fatta in quanto non sono state trovate, in letteratura, scale standardizzate corrispondenti agli obiettivi dello studio.

La formazione preliminare allo studio. Prima di attivare lo studio, gli operatori dei dipartimenti interessati sono stati coinvolti in una formazione capillare sul tema degli episodi di aggressività verso professionisti sanitari. Il ciclo di 4 incontri di 3 ore, orientato ad aumentare la consapevolezza del fenomeno e a sviluppare competenze comportamentali per la gestione degli episodi critici, prevedeva anche l’illustrazione del protocollo dello studio, riportato nella flow chart della figura 1. Gli psicologi intervistatori sono stati formati all’impiego della Svbpa da parte dei senior, psicologo e medico, e prima dello studio hanno effettuato alcune rilevazioni su campioni volontari per omogeneizzare le modalità di somministrazione dello strumento.
Protocollo dello studio. In occasione di un episodio di aggressività subita da parte di un paziente, familiare o visitatore, l’operatore, o gli operatori coinvolti, aggredito/i o spettatore/i, ha compilato la Moas e ha inviato il resoconto all’Osservatorio epidemiologico dell’Uo dipendenze patologiche. L’Osservatorio epidemiologico ha attivato, solo per le Moas con punteggio grezzo pari o superiore a 2, la prima intervista, che si è svolta entro 96 ore dall’aggressione. Gli psicologi intervistatori hanno contatto l’operatore aggredito/spettatore e fissato un appuntamento. In questo primo incontro è stato valutato lo stato di salute precedente l’aggressione ed è stata somministrata la Svbpa. Lo stato di salute è stato valutato con alcune domande aperte e chiedendo di riferire sulle eventuali terapie farmacologiche in corso. A distanza di sei settimane, i casi individuati sono stati nuovamente contattati per la seconda intervista, e nuovamente della Svbpa al fine di rilevare le differenze tra t0-t1. È stato scelto l’intervallo di 6 settimane,  in quanto la reazione acuta da stress (Bryant et al, 2011) si considera esaurita entro 4 settimane. Il perdurare della sintomatologia è stato assunto come indicativo dell’instaurarsi di condizioni psicopatologiche di durata.

Variabili analizzate nello studio e metodi statistici applicati. Le variabili analizzate nello studio sono state:
• aspetti socioanagrafici del personale sanitario (età, anni di impiego, formazione professionale);
• caratteristiche dell’aggressione (subita/testimoniata e categoria di persone che generano l’aggressione);
• tipo di intervento attuato da parte della vittima o dell’organizzazione;
• benessere psicologico della vittima immediatamente dopo d’aggressione (variabili cognitive, affettive, somatiche);
• impatto clinico che l’aggressione ha avuto sulla vittima (episodio depressivo, disturbo d’ansia, disturbo post-traumatico da stress).

Sono state effettuate analisi univariate e bivariate, quali distribuzioni di frequenze e tavole di contingenza a due vie. Si è utilizzato il confronto fra mediane del punteggio ponderato totale della Moas e del numero dei sintomi rilevati al t0 e al t1. Per l’analisi dei sintomi al t0 e t1 si è applicato il test non parametrico per ranghi di Wilcoxon. Per l’analisi della correlazione fra Moas e Svbpa al t0 e tra Moas e Svbpa al t1 si è utilizzato il coefficiente di correlazione per ranghi di Spearman. Le analisi sono state effettuate con Spss 21 (Statistical package for the social sciences).






Risultati
Tra aprile 2012 e marzo 2014 sono stati 50 gli operatori che, su una popolazione complessiva di 334 professionisti (medici, infermieri, psicologi, operatori sociosanitari, assistenti sociali, educatori, tecnici) appartenenti ai dipartimenti oggetto dello studio, hanno segnalato un episodio di aggressione. Sono stati inclusi nello studio 35 soggetti (tabella 3) che avevano riportato alla Moas un punteggio grezzo uguale o superiore a 2; per 6 soggetti non è stata possibile la rilevazione dei questionari nei due momenti previsti, per mancata disponibilità. Gli aspetti più significativi rilevati dall’analisi delle distribuzioni di frequenza sono stati: la prevalenza dei soggetti di sesso femminile (27 contro 8 maschi) e il grande numero di infermieri (26 contro 9 delle altre professioni).



Dalle tavole di contingenza a due vie risulta che per il Centro di salute mentale (Csm) le aggressioni si sono verificate in prevalenza (5 casi su 10) al domicilio del paziente, situazione in cui gli operatori sono più esposti; per l’Uo dipendenze patologiche, invece, il contesto più frequente è stato l’ambulatorio dedicato alla somministrazione farmaci (4 casi su 5). I principali luoghi di aggressione all’interno dell’ospedale (complessivamente n 20) sono stati il triage del Ps (n 7), il reparto (n 7) e le stanze di degenza (n 3). La maggior parte degli episodi aggressivi (22 casi su 35) ha avuto una durata inferiore ai 15 minuti, con una durata media di circa dieci minuti. Incrociando l’unità operativa con la durata dell’aggressione si è constatato che i tre episodi che si sono protratti per più di 30 minuti si sono verificati in Ps (n 2) e nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (Spdc) (n 1).
Caratteristiche dell’aggressione
La tipologia di aggressione più frequentemente registrata è stata quella verbale, riportata da 31 soggetti. In 18 casi le aggressioni sono state anche fisiche e in 11 casi si sono manifestate contro gli oggetti. Una sola volta è stato riportato un caso di aggressività del paziente contro se stesso. Gli episodi di aggressione meno gravi (punteggio 2) sono stati i più frequenti. Il valore della mediana del punteggio totale ponderato è pari a 5 e esprime in sintesi un livello basso di gravità delle aggressioni. La figura 2 riporta le frequenze dei punteggi Moas ponderati, che sono stati registrati. Si può osservare che il punteggio 2 (posizione 1 nel grafico della figura) è stato riscontrato (frequenza) 15 volte, mentre il punteggio 21 (posizione 14 nel grafico) solo una volta, e così per gli altri livelli. Sommando i valori numerici delle frequenze si ottiene il numero di 35, corrispondente ai soggetti inclusi nello studio.



Dal confronto fra le mediane del punteggio totale Moas, in relazione a genere, età e unità operative di provenienza, sono emerse alcune differenze: gli episodi segnalati dagli operatori del Csm (Me = 7,5) e dell’Spdc (Me = 7) sono di maggiore intensità rispetto a quelli riferiti dagli operatori dell’Unità operativa dipendenze patologiche (Me = 2) e del Pronto soccorso (Me = 2). I valori delle aggressioni segnalate dai maschi (Me = 9) sono più elevati di quelle descritte dalle femmine (Me = 2). Infine, gli operatori con più di 50 anni hanno riportato aggressioni più gravi (Me = 6,5).
La sintomatologia riferita dai soggetti
I soggetti intervistati hanno riportato che, prima dell’aggressione, il livello era ‘buono’ (n = 27) o ‘molto buono’ (n 4), ‘discreto’ e ‘sufficiente’ (n = 4); dieci soggetti assumevano una terapia farmacologica e solo in due casi si trattava di farmaci psicoattivi per disturbi del sonno. L’intervista con somministrazione della Svbpa, entro 96 ore dalla segnalazione dell’episodio, ha evidenziato i sintomi psichici presenti nella popolazione esaminata. In particolare, nell’area cognitiva sono stati riscontrati cumulativamente nei soggetti esaminati 106 sintomi, nell’area emotiva 68 e in quella somatica 62 sintomi.
Alla successiva somministrazione della Svbpa, dopo 6 settimane dall’aggressione (t1), la frequenza della sintomatologia descritta si è ridotta (tabella 4). Il numero totale dei sintomi riferiti è passato da 236 a 146. La diminuzione più rilevante si è verificata per i sintomi cognitivi (-52) ed emotivi (-26), più ridotta è stata quella per i sintomi somatici (-12).



La riduzione del numero totale dei sintomi è significativa (test di Wilcoxon = -2,669; p = 0,008): 23 soggetti hanno segnalato meno sintomi, 7 più sintomi, 5 lo stesso numero di sintomi. La riduzione del numero dei sintomi cognitivi è risultata significativa (test Wilcoxon = -2,90; p = 0,004): per 18 soggetti il numero dei sintomi si è ridotto, per 14 è rimasto invariato, mentre 3 hanno riferito un numero maggiore di sintomi. Anche la riduzione dei sintomi emotivi si è dimostrata statisticamente significativa (test Wilcoxon = -2,780; p = 0,005). Nello specifico per 15 soggetti la sintomatologia si è ridotta, per altrettanti 15 soggetti è rimasta invariata e per 5 operatori i sintomi emotivi sono aumentati. La riduzione numerica dei sintomi somatici, invece, non è risultata significativa (test Wilcoxon = -0,832; p = 0,405). Inoltre, l’analisi ha evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra il numero totale dei sintomi sviluppati al t0 e il numero totale dei sintomi descritti al t1 (Rho Spearman = 0,549; p <0,01). Sia al t0 che al t1 il numero dei sintomi che si riferiscono ad una dimensione (per esempio, cognitiva) è risultato statisticamente correlato al numero di sintomi che riguardano le altre due dimensioni (per esempio, emotiva e somatica). Questo significa che chi ha riportato un elevato numero di sintomi cognitivi ha anche riferito un elevato numero di sintomi emotivi e somatici 1.
Dopo 6 settimane (t1), il numero mediano dei sintomi segnalati è passato da 5 a 3. Nel confronto fra le mediane del numero totale dei sintomi in relazione a genere, età, unità operativa di appartenenza, sono emerse alcune differenze. Sia a t0 che a t1, le femmine (Me t0 = 5,0; Me t1 = 4,0) hanno riferito un numero sensibilmente più elevato di sintomi rispetto ai maschi (Me t0 = 3,5; Me t1 = 0,5), anche se, in base al punteggio della scala Moas, gli episodi segnalati dai maschi siano risultati di maggior gravità. I 5 operatori dell’Unità operativa dipendenze patologiche hanno riferito nell’immediato un numero più elevato di sintomi (Me t0 = 7), sebbene abbiano segnalato eventi di minore entità (Moas). Dopo 6 settimane, per i professionisti dell’Spdc (che hanno segnalato in media episodi più gravi) si è ridotto sensibilmente il numero dei sintomi segnalati, che è passato da 5 a 0,5. L’analisi non ha evidenziato alcuna correlazione statisticamente significativa tra il punteggio totale ponderato della Moas (pesatura della gravità) e il numero totale dei sintomi descritti (considerati anche per singola categoria: cognitivi, emotivi, somatici) sia in riferimento al tempo t0 che al t1. Pertanto, la sintomatologia sviluppata sembra più legata ad altri fattori e al verificarsi dell’evento traumatico in sé che non al livello di gravità dell’aggressione.
Non va escluso che la limitata numerosità del campione possa non aver fatto emergere la presenza di correlazioni statisticamente significative.
Discussione
In linea con i risultati di altri studi (Becattini et al, 2007; Pich et al, 2011), si ha ragione di credere che il fenomeno delle aggressioni subite da operatori sanitari sul posto di lavoro, benché emerso con chiarezza, sia stato sottorappresentato, anche per effetto di motivazioni culturali che ostacolano la registrazione degli episodi (Becattini et al, 2007; Zampieron et al, 2010). Nel contesto dei servizi di salute mentale, in particolare, è molto diffusa la cognizione che subire la violenza verbale faccia “parte del lavoro”, così come confermato da altri studi (Luck et al, 2008; Eslamian et al, 2010). In conseguenza di ciò, alcuni operatori considerano la segnalazione dell’aggressione verbale come un gesto che favorisce la stigmatizzazione del paziente. Contribuisce a questa posizione quella visione ideologica della salute mentale tesa a giustificare il paziente “ sempre e comunque”, che si traduce negli operatori nel timore di essere criticati dai dirigenti e dai pari per mancanza di solidarietà con l’assistito. È utile ricordare, in questo contesto, che la negazione dei comportamenti violenti dei pazienti affetti da disturbi mentali ne ostacola la prevenzione e apre al fenomeno della criminalizzazione di persone che commettono reati in stato di infermità psichica.
Lo studio Soap ha confermato, comunque, l’importanza e la consistenza del fenomeno delle aggressioni subite dagli operatori sanitari sul luogo di lavoro e ha messo in luce le conseguenze psichiche (sintomi emotivi, cognitivi e comportamentali). Le conseguenze dei traumi possono avere rilievo clinico e si manifestano principalmente con sintomi cognitivi ed emotivi che tendono a diminuire nell’arco del periodo di sei settimane, considerato dallo studio. Tuttavia la diminuzione della sintomatologia clinica non porta sempre a conclusioni rassicuranti. Le reazioni emotive a seguito di un evento traumatico possono anche avere un’insorgenza ritardata. Le persone rivivono ricordi ed emozioni anche molti anni dopo l’evento (Parkinson, 1997) e questo può avere effetti significativi per le vittime e conseguenze sul piano dell’organizzazione del lavoro. Non era negli scopi di questo studio la valutazione degli effetti economici delle aggressioni, ma è evidente che i periodi di malattia e l’incombente disaffezione al lavoro, che può derivare dalla sensazione di insicurezza, costituiscono ulteriori costi sociali che andrebbero valutati con specifica metodologia.
Conclusioni
Lo studio Soap ha evidenziato la presenza di un carico di sofferenza emotiva per gli operatori che subiscono violenza. Questo carico si manifesta a ridosso dell’aggressione e tende ad attenuarsi nella maggioranza dei casi nell’arco di sei settimane. Il fenomeno comporta sia sofferenze soggettive che costi organizzativi, non valutati in questo studio. Per far fronte al problema occorrono programmi specifici di formazione rivolti agli operatori che agiscono nei contesti a maggiore rischio. Diversi studi in letteratura dimostrano come iniziative formative ad hoc riescano a ridurre il numero di aggressioni subite e siano in grado di generare nel personale sensazioni di padronanza delle situazioni a rischio (Eslamian et al, 2010; Deans, 2004). Infatti, gli operatori dopo essere stati adeguatamente istruiti ed informati, riportano un maggior senso di sicurezza nell’affrontare comportamenti ostili (Brunetti e Bambi, 2013; Cahill, 2008). È altrettanto importante stimolare nelle direzioni aziendali la consapevolezza che per prevenire gli episodi di violenza, e soprattutto per diminuirne le conseguenze e i relativi costi, servono interventi concreti di sostegno psicologico agli operatori aggrediti e una presa di responsabilità di vertice che eviti il vissuto di isolamento e le conseguenti risoluzioni spontanee che nascondono negazione e cronico adattamento alle situazioni traumatiche.


Conflitto di interessi Nessuno

Autore per la corrispondenza
Michele Sanza, michele.sanza@auslromagna.it

Ricevuto 17 gennaio 2017; accettato 15 febbraio 2018
Note
1In relazione al t0 si è evidenziata una correlazione statisticamente significativa tra il numero dei sintomi cognitivi e sintomi emotivi (Rho Spearman = 0,535; p <0,01); tra il numero dei sintomi cognitivi e somatici (Rho Spearman = 0,501; p <0,01); tra il numero dei sintomi emotivi e somatici (Rho Spearman = 0,433; p <0,01).
In relazione al t1, è risultata statisticamente significativa la correlazione tra il numero dei sintomi cognitivi ed emotivi (Rho Spearman = 0,393; p <0,05); tra il numero dei sintomi cognitivi e somatici (Rho Spearman = 0,445; p <0,01); tra il numero il numero totale dei sintomi emotivi e somatici (Rho Spearman = 0,537; p <0,01).
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